giovedì 30 ottobre 2008

SEGUE PIAZZA NAVONA

Il filmato di un inquilino di Piazza Navona:anche esso documenta chi ha aggredito.

http://www.youtube.com/watch?v=hFtUMqREeNY&eurl=http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?PHPSESSID=9e11e8bf61676455134f6612472e3200&topic=43502.0

Piazza Navona "scontri"

Il filmato che proponiamo è assai eloquente e va confrontato con le dichiarazioni alle tv di quei personaggi che hanno cianciato di un'aggressione del BLOCCO STUDENTESCO.


http://www.youtube.com/watch?v=5wTeI_tatoY&eurl=http://www.bloccostudentesco.org/scuola/index.htm

martedì 28 ottobre 2008

GIOVINEZZA AL POTERE

Riprendiamo un comunicato del BLOCCO STUDENTESCO che certamente farà riflettere chi quaranta anni fa ebbe a confrontarsi con analoghe circostanze

Il Blocco Studentesco è stato parte attiva del corteo di circa 20.000 studenti che hanno manifestato da piazza Esedra fin sotto il Senato.
Dopo molti anni è stato possibile assistere ad una prova di unità generazionale oltre le barriere ideologiche, tutti gli studenti insieme contro la distruzione della scuola e dell'università. Ribadiamo che non è stato un corteo del Blocco Studentesco, ma di tutti gli studenti.
Non è stato gridato alcun coro “duce,duce”, né ci sono stati simboli politici, come detto falsamente da organizzazioni come l'UdS che non hanno neanche partecipato alla manifestazione. La divisione è avvenuta quando membri esterni dei centri sociali di estrema sinistra, hanno costretto con la forza, creando un cordone umano, una piccola parte del corteo a non proseguire fino al Senato. Diffidiamo gli organi di informazione a non mandare notizie false in quanto verranno fatti oggetto di querele. Esistono ore e ore di prove video.
In merito riferisce Giorgio Evangelisti, vice presidente della consulta degli studenti e membro del Blocco Studentesco: “Tutti gli studenti oggi sono stati uniti contro la distruzione del sistema scolastico e universitario. Per fortuna la quasi totalità non ha abboccato al tentativo di strumentalizzazione dell'UdS e dei centri sociali, le immagini parlano chiaro. Probabilmente a qualcuno dà fastidio che ci sia un'unità generazionale, e per questo cerca di distruggere un'esperienza fantastica come quella che sta nascendo. “Arrivati sotto il Senato c'è stato il coro “buffoni,buffoni” lanciato contro esponenti dell'Italia dei Valori che hanno tentato di strumentalizzare. E' stato tra l'altro chiesto un incontro dei rappresentanti studenteschi con il ministro che ci sarà domattina. Conclude il portavoce del Blocco Studentesco Francesco Polacchi: “Continuiamo la nostra lotta contro i tagli alla scuola, il cinque in condotta e la privatizzazione del sistema universitario. Non assisteremo inermi allo scippo del nostro futuro, continueranno manifestazioni, occupazioni e autogestioni. E' in atto un cambiamento epocale, gli studenti sono l'unica voce che si fa sentire. E' ora di dire, giovinezza al potere.”

SINERGIE D'ARTE

Mercoledì 29 ottobre 2008, alle ore 18, si terrà la rassegna "Sinergie d'Arte", a cura di Autori Online, presso il Caffè Letterario di Roma (via Ostiense 95).
Protagonisti della serata gli scrittori: Daniela Ariano, Paola Dei, Felice Vinci, Roberta Papagni Ricci.La manifestazione sarà presentata dai promotori culturali di Autori Online: Giancarlo Bruschini, Deborah D'Agostino, Aleida Lima, Massimo Nardi, Alberto Saso.Il Reading poetico sarà dedicato alla lettura dei brani dei poeti presenti in sala. Il musicista Fabio Evangelista illustrerà il percorso del suo gruppo folk-rock con il quale suonerà alcuni brani.

domenica 26 ottobre 2008

Dal sito di Carlo Gambescia
http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
riprendiamo questa interessante recensione

Il libro della settimana:
Jean Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, Bologna 2008, pp. 241, euro 15.00 – www.mulino.it
Jean Baudrillard, pur essendo morto nel 2007 a quasi ottant’anni, è attualmente temutissimo dagli studenti di Scienza delle Comunicazioni. Giovani cresciuti a pane, ItaliaUno e Mtv, con le camerette zeppe di gadget audiovisivi, Pc portatili, poster e peluches. Fragili e cinici al tempo stesso, probabilmente viziati: post-moderni insomma.Dimenticavamo. Per quale ragione gli studenti temono Baudrillard? Perché scrive difficile. E se i professori lo mettono in programma, la bocciatura è sicura…Eppure anche i più asinelli dovrebbero essergli grati, perché Baudrillard aveva previsto la loro infanzia e adolescenza nel nuovo Paese dei Balocchi. Veicolato da mass media dal sorriso ancora più mellifluo di quello dell’ Omino di Burro, che traghettava i bambini “discoli” nella collodiana città dei giochi, dove le scuole restavano sempre chiuse… Ma che li trasformava, appunto, in asinelli.E questo in un libro, che ancora oggi rimane l’opera più riuscita del sociologo francese: La società dei consumi, opportunamente ripubblicato dalla casa editrice il Mulino ( Bologna 2008, pp. 241, euro 15.00) e ben prefato da Roberta Sassatelli, studiosa di sociologia dei consumi. La quale, giustamente, ricorda che il testo uscì in Francia nel 1970, e sei anni dopo in Italia. Dove in quel periodo - ma questa è una nostra osservazione - alle armi della critica nei riguardi della società capitalistica, si era sostituita, purtroppo, la critica delle armi…Ciò però non significa che Baudrillard debba essere considerato un cattivo maestro. Tutt’altro. Resta un intellettuale finissimo che aveva individuato la deriva consumistica e post-moderna della società capitalistica. Anticipando di sei anni, il bellissimo testo di Daniel Bell The Cultural Contradictions of Capitalism (1976). Il quale, da sociologo conservatore americano, sosteneva più o meno le stesse cose: il capitalismo consumista ha tradito la sua etica puritana, fondata sul risparmio e sui nobili ideali di vita, eccetera.Con la differenza, che per Baudrillard, il capitalismo era da buttare, anzi si “sarebbe buttato da solo” a causa delle diseconomie, soprattutto sociologiche (povertà, anomia, eccetera) Ma ascoltiamolo: “Come la società del medioevo si reggeva in equilibrio su Dio e sul diavolo, così la nostra si regge sul consumo e sulla denuncia. Ancora attorno al diavolo potevano organizzarsi eresie e sette di magia di nera. La nostra magia è invece bianca: nessuna eresia è possibile nell’opulenza… Attenderemo [perciò] le irruzioni brutali e le disgregazioni improvvise che, in maniera tanto imprevedibile, ma certa, quanto il maggio del 1968, manderanno in frantumi questa messa bianca”. In realtà, poi, le “irruzioni brutali” si sono trasformate, per i sessantottini, in assunzioni prestigiose. Ma questa è un’altra storia…Per contro, secondo Bell, si doveva recuperare il capitalismo nella sua versione classica. Semplificando: quella puritana; tutta casa e chiesa, In certo senso per dirla con Baudrillard, il capitalismo doveva riscoprire Dio… Ma in che modo? Puntando, scriveva Bell, sulla moralizzazione religiosa dei consumi, il senso del dovere, il risparmio, il ritrovato gusto di un lavoro onesto, la famiglia, eccetera. Concetti, rispettabilissimi, e tuttora difesi nell’ambito di certo conservatorismo protestante e anche cattolico.Ma in realtà avevano torto tutti e due. Il capitalismo è tuttora vivo e vegeto, perché è riuscito, almeno finora, a conciliare alta produttività e alto consumo: Dio e diavolo, giocando proprio su quella cultura dell’immaginario consumistico, legata al principio del “lavora e divertiti”: dell’integrati e disintegrati al tempo stesso… ma “con juicio”. Ben teorizzata, da Baudrillard, che però - ecco la controindicazione - ha prodotto quei giovani di cui sopra: fragili e cinici al tempo stesso. In certa misura, come nei film gialli, anche in quello “capitalistico” il finale resta aperto… O almeno si spera.Va qui detto che le intuizioni di Baudrillard hanno sicuramente rappresentato per almeno due generazioni di sociologi un costante punto di riferimento: pioniere dell’antieconomicismo, acuto indagatore, come abbiamo visto della sociologia dei consumi, sottile interprete delle più complicate forme simboliche di rappresentazione sociale. E certe sue brillanti intuizioni oggi le ritroviamo nei libri di Caillé e Latouche.Negli ultimi anni della sua vita, tuttavia, come capita talvolta anche ai grandi, il suo pensiero si era fatto meno creativo. Alle ottime sintesi degli anni Settanta-Ottanta del Novecento, seguivano interventi più saggistici, alcuni brucianti, si pensi a quello sull'America, altri meno originali, come gli scritti sull’immaginario postmoderno, e sui media in particolare. Il tutto esposto in uno stile di scrittura sempre più complicato se non oscuro, molto simile, per fare un esempio, a quello di Enrico Ghezzi, il critico cinematografico.Ma c’è dell’altro. Non possiamo, infatti, non accennare anche ai limiti di Baudrillard. Certo, si parla di carenze attribuibili a un pensatore comunque importante.In primis, il suo approccio, come dire, “macchinale” alla società: Baudrillard, come del resto si scopre leggendo La società dei consumi, non si è mai stancato di ripetere, da buon “post-strutturalista” ma in libertà vigilata, che la società in generale è una “macchina” che attraverso i suoi simboli, dipendenti da precisi rapporti di produzione, o comunque strutturali, fagocita gli uomini. Trasformandoli in automi che obbediscono a simulacri: a “rappresentazioni di rappresentazioni”...Ora questo approccio, che può valere per lo studio della società contemporanea, non può sicuramente essere utilizzato per quello della società in generale. Che non è una macchina, ma frutto di un delicato equilibrio interattivo tra cultura (i“simulacri”…), istituzioni e uomini. La società non “produce” uomini: condiziona, ma non determina mai il comportamento umano, come mostra anche la storia.Sotto questo profilo Baudrillard dice troppo, perché costruisce un modello generale di società post-moderna, e poco, perché questo modello generale di società non è astorico, ma particolare, dal momento che riflette solo certi caratteri, “post-moderni”, della società contemporanea e non della società in generale.In parole povere: Baudrillard non distingue tra ciò che cambia e ciò che è immutabile in una società. Pareto e Sorokin che su questa distinzione hanno costruito la scienza della sociologia, se redivivi, lo criticherebbero senza pietà… Ma, tra i grandi sociologi viventi, sarebbe interessante sentire a riguardo il nostro Alberoni, da sempre dedito allo studio delle istituzioni (quel che non muta) e dei movimenti sociali (quel che porta al mutamento).Si pensi, ad esempio, a al Baudrillard che nel maggio del 2005 a proposito dei no all’approvazione della costituzione europea, contrappose le élite nazionali, favorevoli, al popolo, invece istintivamente contrario (Il no alla costituzione europea è una risposta istintiva, una reazione di sfida al disprezzo del potere per la volontà dei cittadini ,in Libération, ripreso da “Internazionale” 27-5-2005 -www.astridonline.it/eu/Contributi/RassegnaS/internazionale_270505_Baudrillard.pdf - ).Che cosa vogliamo dire? Che se la contrapposizione può ancora essere accettata, non può invece essere condivisa la spiegazione che ne dava Baudrillard: il no, a suo avviso, era frutto di un egoismo consumistico, alimentato simbolicamente dallo stesso sistema, e tuttavia tacitamente accettato, più o meno inconsapevolmente, da élite e popolo insieme.Ora, non continuiamo a capire come Baudrillard potesse poi sostenere, contraddicendosi, che dal no si sarebbe sviluppata una opposizione diffusa al nuovo ordine mondiale basato su guerre e consumismoPerché delle due l’una: se élite e popolo parlano lo stesso linguaggio dell’ egoismo, il “cambiamento” non era e non è possibile; se élite e popolo parlano linguaggi diversi (le élite quello dell’egoismo, il popolo quello dell’altruismo), allora il “cambiamento” era ed è possibile. Tuttavia, in questo secondo caso, Baudrillard doveva spiegare come una “macchina sociale” che “produce” inesorabilmente automi e simulacri (“rappresentazione di rappresentazioni”), potesse iniziare all’improvviso a “produrre”, uomini creativi e valori altruistici.Si tratta di una spiegazione importante, cruciale, che non riguarda solo la teoria sociologica, ma per usare una parola grossa, il ruolo della libertà umana nella storia.Certo, è il problema dei problemi. Ma al quale un pensatore della statura di Baudrillard si è sottratto. Purtroppo.

mercoledì 22 ottobre 2008

Venerdì, 24 ottobre 2008I
MISTERI DI MITHRAUmberto Bianchi"Il contesto culturale del mitraismo"Stefano Arcella"I misteri di Mitra"Gian Franco Lami"La città di Mitra"
ore 18:00, Via Fracassini 27, Roma (Lungotevere Flaminio)
a cura del Movimento Tradizionale Romanolacittadella@email.it
I RELATORI:
Umberto Bianchi, editorialista e pubblicista autore di "Alle origini della globalizzazione" (Nuove Idee, 2005).
Stefano Arcella, studioso dei culti gentilizi in Roma arcaica e del pensiero tradizionalista del Novecento, ha curato, per la Fondazione Evola di Roma, la pubblicazione delle Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce (1925-1933), Roma 1995, e delle Lettere di Julius Evola a Giovanni Gentile (1927-1929), Roma 2000. Entrambe le opere sono precedute dai saggi introduttivi del curatore sul pensiero del filosofo romano e sul suo rapporto con la corrente dell’Idealismo. In Studi Evoliani 1998 ha pubblicato uno studio su “La collaborazione di Evola all’Enciclopedia Italiana” e nel 1999 “Evola e la cultura partenopea negli anni ‘30”. Tra i suoi scritti, sono da segnalare, inoltre: Religiosità e presenza politica degli Orazi fra il VI e il IV secolo a.C., in Ricerche sull'organizzazione gentilizia romana (a cura di G. Franciosi), II, Ed. Jovene, Napoli, 1988; I Fabi e la tradizione annalistica, in Ricerche sull'organizzazione gentilizia romana (a cura di G. Franciosi ), III, Ed. Jovene, 1995 . Stefano Arcella è anche uno studioso della legislazione sui beni culturali. Ha pubblicato La gestione dei beni culturali (Napoli 2000).
Gian Franco Lami (Roma, 1946) ha insegnato Scienza Politica all’Università di Teramo, ora insegna Filosofia Politica all’Università di Roma “La Sapienza”. Dal 1978, cura l’edizione italiana degli scritti principali di Eric Voegelin. E' autore di monografie su Adriano Tilgher, Augusto Del Noce, Angelo Ermanno Cammarata, e di altri esponenti della cultura giuridica e politica contemporanea. Dal 1994 collabora con la Fondazione Julius Evola alla pubblicazione dell’opera omnia evoliana.

martedì 14 ottobre 2008

droga

Casa d’Italia Prati – via Valadier 37
giovedì 23 ottobre 2008
ore 18,00: inaugurazione mostra
ore 18,45: dibattito

droga, non solo chiacchiere
dagli abissi dell’illusione

mostra fotografica per ragionare insieme
di
Luciana Paris

si confrontano
Massimo Barra, Presidente nazionale Croce Rossa Italiana
Germana Cesarano, Presidente Magliana 80
Ettore Rossi, direttore Villa Maraini
Giancarlo Trovato, direttore nonsolochiacchiere
Gaetano Campo, responsabile carcere coop. G.I.So. Onlus
interventi dei partecipanti

moderatore
Leandro Bianchini

introduce
Giuliano Castellino, Presidente Area Identitaria Romana



Riflessioni di Leandro Bianchini, moderatore dell’incontro
La mostra fotografica e la tavola rotonda hanno l’obiettivo di mettere a confronto due diverse filosofie di bassa soglia per la tossicomania.
Pur nella loro diversità, tutte e due hanno lo stesso filo conduttore e, soprattutto, lo stesso obiettivo: combattere la droga.
Ed è questo che vogliamo dimostrare tramite una comune e concreta strategia nella riduzione del danno, nella prevenzione e nella riabilitazione.
Desideriamo stimolare un pubblico confronto, per acquisire suggerimenti finalizzati a trovare sempre nuove soluzioni concrete per debellare il problema droga.
Mi fa, quindi, piacere sviluppare una serie di riflessioni per dimostrare che quanto noi stiamo praticando – cioè la riduzione del danno, le unità di strada, etc – non è una strategia etichettabile politicamente, né come antiproibizionismo né rispetto allo schieramento di destra o di sinistra.
La riduzione del danno va interpretata come allargamento e come unica possibilità terapeutica per i tossicomani a basso livello motivazionale, che sono le stesse persone le quali – dopo dieci, dodici anni di consumo di droga – avranno raggiunto una buona motivazione per smettere.
La motivazione è funzione dell’effetto della sostanza, che tende ineluttabilmente a diminuire in funzione del tempo, perché l’uomo si abitua a tutti i piaceri, a tutte le cose belle.
Tutte le cose belle che lo conquistano all’inizio, però, con il tempo diminuiscono il loro fascino e allora per tutti – a un certo momento – arriva quella “accensione di lampadina” che coincide con il momento in cui gli aspetti negativi della droga e tutto ciò che è correlato al suo mondo superano gli aspetti gratificanti e positivi.
Il seguito sarebbe bello ascoltarlo alla tavola rotonda…

segreteria organizzativa: Il Gruppo Libero - viale Giulio Cesare, 59 - Roma
tel: 06.97278917 fax: 06.45471763 - email: segreteria@gisocoop.it

lunedì 13 ottobre 2008

Un appello dalla/alla rete

Riteniamo importante dare ,per quel che ci è possibile,voce all'appello che vede come primo firmatario Carlo Gambescia a cui ci si può rivolgere per le adesioni.

Appello urgente alla ReteQuattro misure contro la crisi:Sospendere temporaneamente il pagamento dei mutui; vietare le transazioni allo scoperto; bloccare la costruzione delle grandi infrastrutture non cantierizzate; proporre, da subito, nuovi strumenti per sostenere il reddito delle classi meno agiate.

A fronte della crisi economica in atto, sottoponiamo all’attenzione della Rete il seguente appello formale:- La crisi in corso evidenzia i limiti del capitalismo in termini etici, sociali, economici e politici.- Di qui la necessità del suo superamento attraverso l’edificazione graduale e non violenta di un nuovo modello di società, capace di integrare i valori della solidarietà e della sobrietà.- Vanno perciò subito presi alcuni provvedimenti a difesa del credito, dei redditi e dell’occupazione di tutti i cittadini, in nome del benessere collettivo e non di quello particolare di pochi speculatori. Si tratta di interventi finalizzati, in prospettiva, al recupero della piena sovranità della politica, intesa nel senso più nobile del termine, sull’economia. Interventi che devono chiamare in causa il ruolo dello Stato nell’ambito della tutela, in ultima istanza, del lavoro e del credito ai cittadini e alle famiglie. Ma anche di facilitare, sotto il profilo legislativo, il ruolo della magistratura nel perseguire i reati finanziari commessi nello svolgimento di attività borsistiche e creditizie.A questo proposito si chiede, in attesa di una ormai irrinunciabile evoluzione sociale in senso umano e contro la bestialità della pura logica del profitto, alle forze politiche di maggioranza e di opposizione, di sostenere nell’ambito del Governo, del Parlamento e in tutte le sedi politiche opportune – qualora la situazione nei prossimi mesi, se non addirittura giorni, dovesse precipitare – le quattro seguenti misure, sicuramente “minimali”, ma capaci di rappresentare il primo segnale di una volontà comune di fuoriuscire dal vizioso ciclo capitalistico del debito e della speculazione:1) Dichiarare temporaneamente sospeso il pagamento di tutti i mutui bancari, inclusivi degli interessi maturati, stipulati entro gli ultimi cinque anni, per l’ acquisizione della prima casa.2) Dichiarare illegali, a decorrere dalla data di pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, tutti i cosiddetti prodotti derivati e le cosiddette transazioni “allo scoperto” (elencandoli in apposite tabelle complementari ).3) Proporre, sin da oggi, nuovi strumenti per sostenere il reddito delle classi meno agiate, qualora aumenti dell’inflazione e dei prezzi delle merci di largo consumo mettano a serio repentaglio livelli di vita già oggi precari.4) Bloccare la costruzione delle grandi infrastrutture non ancora cantierizzate (TAV in Val di Susa, Ponte sullo Stretto di Messina ecc.) al fine di utilizzare il capitale ad esse destinato per sostenere i redditi e l’occupazione, riservandosi di sottoporle in un secondo momento ad una seria analisi costi/benefici che verifichi l’opportunità della loro costruzione.Tale appello è frutto di ponderata analisi e discussione avvenuta sul Web, e non esclude – per il futuro – nuovi interventi a più ampio spettro.Roma, 10 ottobre 2008Carlo Gambescia (sociologo http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/ )Carlo Bertani (scrittore - http://carlobertani.blogspot.com/ )Marco Cedolin (scrittore - http://marcocedolin.blogspot.com/ -http://ilcorrosivo.blogspot.com/ )Miguel Martinez (traduttore - http://kelebek.splinder.com/ )Valter Binaghi (scrittore - http://valterbinaghi.wordpress.com/ )Nicola Vacca (poeta - http://nicolavacca.splinder.com/ )Guido Aragona (architetto - http://bizblog.splinder.com/ )Antonio Saccoccio (blogger/net-artista - http://liberidallaforma.blogspot.com/)Truman Burbank (ingegnere http://trumanb.blogspot.com/ )Roberto Buffagni (drammaturgo)Stefano Moracchi (saggista -http://www.attuazionista.blogspot.com/ )Michele Antonelli (ingegnere elettronico)Barbara Albertoni (insegnante - http://www.cloroalclero.com/ )
Eduardo Zarelli (insegnante, editore - http://www.ariannaeditrice.it/ )
Valerio Lo Monaco (giornalista)
Federico Zamboni (giornalista)

Porta Pia

Si ritiene utile "rilanciare" un articolo del Professor Cardini che appare degno di particolare riflessione


- ANCORA A PROPOSITO DI PORTA PIA –

Credo che in questo paese si debba ancora imparare a discutere e magari a polemizzare: ma con serenità e, possibilmente, anche con qualche argomento che vada al di là delle pillole di conformismo e di politically correct.
Non riesco per esempio a capire perché nella nostra opinione pubblica e nei relativi mass media si debba sempre e per forza gridare allo scandalo ogni volta che qualcuno azzarda pareri dietro i quali sia sospettabile la presenza di di tesi o anche solo di proposte che appena appena escano dai solchi ben collaudati delle idées données e delle Verità Inconfutabili garantite dai manuali di scuola media e ripetute dai poligrafi travestiti da ricercatori che impestano le nostre librerie con best sellers regolarmente scopiazzati da vecchi libri di storia. Quelli col Barbarossa cattivo e i lombardi buoni, col Radetzky feroce e i bravi Tamburini Sardi, col “Mamma li Turchi” e col meno-male-che-c’è-stata-Lepanto. Insomma, con la storia detta, ripetuta, collaudata e ribadita sul metro di quei geniali maĩtres-à-penser che molti decenni or sono, mossi a pietà degli studenti pigri, redassero i manualetti noti come “Bignami”. E, se ci si oppone al Bignami, ci si becca la condanna secca come una mannaia: “revisionisti!”.
Ora, premesso che “revisionismo” è parola che dalla storia della politica sé Internazionale” per poi dilagare nel mondo della semistoria e della pseudostoria, è necessario sia chiaro che il lavoro degli storici, intendo di quelli veri, consiste sempre e inevitabilmente, in gran parte, nella revisione delle tesi e delle letture dei fatti quali gli sono state confidate da chi ha lavorato prima di lui. Non esiste quindi nessuna pagina di storia che sia stata scritta una volta sola e per sempre. La storia è una fatica di Sisifo.
Ecco perché è stata obiettivamente ridicola, al di là di qualunque posizione si voglia difendere, la polemica scatenata dall’orazione del generale Antonio Torre che, commemorando ufficialmente il 20 settembre scorso il 138° anniversario della Breccia di Porta Pia, si è particolarmente soffermato sui 19 caduti dell’esercito pontificio sorvolando su quelli italiani; e che il sindaco di Roma Gianni Alemanno non abbia dal canto suo provveduto a rimediare alla gaffe dell’alto ufficiale: sempre che – ha commentato qualcuno – solo di gaffe si sia trattato e non, orrore, di “scelta di campo” o peggio, raccapriccio, di “revisionismo”.
Ora, va da sé che in una sede ufficiale e paludata, per sua natura retorica e convenzionale, come quella di una commemorazione pubblica, non è mai il caso di lasciarsi andare a discussioni storiografiche: il che del resto non era senza dubbio nelle intenzioni e forse nemmeno nelle possibilità obiettive del generale Torre, che fa il militare e non lo storico.
Quel che però non mi meraviglia affatto – ormai so da tempo che cos’è l’Italia -, ma comunque continua a indignarmi, è la desolante piattezza del coro, praticamente unanime, di giornalisti, di politici e perfino (e ciò m’è dispiaciuto) di qualche storico serio: tutti allineati e coperti nello stigmatizzare il silenzio di Alemanno o comunque la sua scarsa energia nel difendere, a scanso di equivoci, la tesi ufficiale della quale egli, in quanto sindaco, viene considerato una specie di garante e di custode (e a dire il vero non se ne capisce il perché).
Insomma. Perché mai non si dovrebbe cominciar a dire che in realtà la storia del nostro Risorgimento, così come si svolse tra 1848 e 1870, non andò affatto come andò perché non avrebbe mai potuto andare altrimenti; e tanto meno che non andò per nulla nel migliore dei modi possibili? E, badate, qui ucronia e fantastoria non c’entrano per niente. Il dogma che la storia non si possa scrivere “al condizionale”, “con i se e con i ma”, è una fesseria che nessuno storico serio – a parte un manipolo di paleostoricisti convinti – non dice più da molto tempo. E non sono io ad affermarlo: bensì uno dei più grandi studiosi viventi, David S. Landes.
La discussione non è affatto oziosa: e tanto meno lo sarebbe al livello politico, se non vivessimo in un paese dominato, fra le altre cose, da una disinvolta schizofrenia e da un’impudica ostentazione d’incoerenze. Vorrei proprio che qualcuno mi spiegasse perché, nei nostri manuali scolastici, continua tuttora a trionfare una visione del Risorgimento degna del libro Cuore e delle Maestrine dalla Penna Rossa – alcuni epigoni delle quali sembrano oggi sedere sugli scranni del governo – mentre quel governo stesso si regge con l’appoggio determinante d’una forza, la Lega Nord, che se fosse un po’ meno bécera dovrebbe pur sviluppare, appunto nel quadro di quanto essa stessa sostiene, anche un serio discorso critico sulle scelte che condussero al processo d’unità nazionale, sui metodi che furono adottati per conseguirle, sulle conseguenze a cui condussero. Perché la soluzione unitaria e centralista, voluta dalla monarchia sabauda che mirava all’espansionismo del suo potere dinastico e dai dottrinari “neogiacobini” che seguivano Mazzini e Garibaldi (e una parte dei quali sacrificò al dogma dell’ “unità indivisibile” i suoi stessi ideali repubblicani), non solo per lungo tempo non era stata l’unica possibile, ma era stata quella considerata, anche a livello internazionale, la più avventuristica e pericolosa.
L’unità proclamata nel 1861 e coronata dalla presa di Roma del 1870 andava direttamente contro un millennio di storia italiana, ch’è e sempre stata per sua natura policentrica, municipalistica, regionale e cittadina; e i capi degli stati italiani preunitari, a cominciare dal papa, si erano tutti – sia pur in diversa misura – adattati ad accettare una formula di unità federale, su un modello non lontano da quello che (essa sì in coerenza con al sua storia) fu adottata dalla Germania proprio in quello stesso 1870. E in tale senso, anche se con accentuazioni diverse, si erano espressi gli ingegni migliori e più equilibrati del nostro Risorgimento, dal Gioberti al D’Azeglio al Cattaneo.
Ma il governo piemontese, guidato dal Cavour e dai suoi successori, scelse – fino a un certo punto in accordo con Napoleone III, poi addirittura senza e contro di lui – la politica delle provocazioni, dei colpi di mano e dell’alternanza di menzogne e di atti di violenza per giungere, contro il diritto e la legittimità internazionali, alla violazione patente dei diritti dello stato pontificio. Che oggi tutti, anche senza sapere di che cosa si trattava, si sbracciano a qualificare di “corrotto”, di “incapace”, di “antistorico”, mentre la realtà del tempo non presenta per nulla tale quadro. Né si capisce perché si continui a far finta di non ricordare che la presa di Roma poté compiersi, proditoriamente da parte italiana, non appena, in conseguenza della sconfitta di Sedan, la protezione dell’imperatore dei francesi a Pio IX venne meno. O perché molti abbiano rimproverato il generale Torre per il suo omaggio – da soldato, se non altro – agli zuavi e in genere ai volontari che accorsero soprattutto dalla Francia a difendere il papa che aveva tutto il diritto a non venire attaccato su quel territorio che egli legittimamente governava.
E sarebbe poi stata con certezza peggiore, per esempio, un’Italia federale, di quanto sia stata l’Italietta unitaria che determinò la questione del Mezzogiorno, provocò scandali finanziari gravissimi a ripetizione, inventò infamie fiscali come la “tassa sul macinato” ch’era una vera e propria tassa sulla miseria, coniò “leggi internazionali” e massacrò contadini siciliani (Bronte) e operai (i cannoni ad “alzo zero” del Bava Beccaris, decorato dal “Re Buono”), fu incapace di rimediare al flusso continuo di poveracci che abbandonavano il paese per disperazione e si dimenticò del destino degli emigrati, infine ci gettò inutilmente – e con opportunistica furbizia – nel grande macello della prima guerra mondiale, da cui sarebbero appunto usciti i tanto detestati comunismo e fascismo? Aveva davvero proprio tutti i torti, l’ “infame” Franti?
Così è, se vi pare. Perché non proviamo a discuterne pacatamente, invece di stracciarci le vesti ogni volta che qualcuno prova a commettere l’indicibile peccato consistente di cercar di rimetterci in moto le meningi? E chiamatelo, se volete, “Revisionismo”.


Franco Cardini

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