
venerdì 23 ottobre 2009
martedì 20 ottobre 2009
Da "Il Fondo Magazine"
Ma cDonald’s vs Mac Bun
Giorgio Ballario
Arroganti. Arroganti e aggressivi. Arroganti, aggressivi e anche ottusi. Perché vanificano, con un gesto arrogante, aggressivo e ottuso, milioni di euro d’investimenti pubblicitari per farsi un’immagine positiva. Le minacce del colosso americano McDonald’s, re mondiale del fast-food, a una microscopica agri-hamburgeria di Rivoli, in provincia di Torino, avrebbero anche un risvolto comico se non ci fossero di mezzo avvocati e carte bollate.
La vicenda è abbastanza nota perché, dopo essere uscita sulle pagine locali de La Stampa, è stata ripresa da blog e siti internet di mezza Italia. Agli intraprendenti Gaetano Scaglia e Francesco Bianco, imprenditori e allevatori del Torinese, è venuto in mente di mettere in pratica quel che da tempo predicano tanti teorici del mangiar sano e dei principi ecologici applicati alla filiera agroalimentare: aprire un fast-food a “chilometri zero”. Cioè con prodotti certificati e di qualità provenienti dal territorio. Quindi polpette di carne proveniente dall’allevamento della stessa famiglia Scaglia, vino del Monferrato, birra artigianale della Val Susa, patate locali fritte in olio di semi prodotto nel Cuneese, pane di un piccolo forno della zona.
Per dare un tocco simpatico allo slow-fast-food, Scaglia e Bianco hanno deciso di chiamarlo “Mac Bun”, che se da un lato fa indubbiamente venire in mente il gruppo multinazionale del “mangiare veloce”, dall’altro rimanda esplicitamente alla lingua piemontese (mac bun=solo buono). Ancora una volta local contro global, insomma. Ma gli avvocati della McDonald’s a quanto pare non conoscono il piemontese. E non hanno nemmeno il gusto dell’ironia. Pochi giorni dopo aver depositato il marchio alla Camera di Commercio, i due imprenditori di Rivoli si sono visti arrivare una diffida dai legali del Re del panino.
Quel “Mac”, secondo loro, richiama un po’ troppo il nome dell’enorme catena di fast-food, che campeggia da New York a Buenos Aires, da Pechino a Johannesburg. Proibito quindi usarlo nell’insegna del piccolo locale di Rivoli, pena una causa milionaria nella quale è facile prevedere chi la spunterebbe. Arroganti, aggressivi e pure preventivi, come hanno imparato ad esserlo gli americani anche in questioni più importanti e tragiche di una polpetta. Ma sempre ottusi.
Perché i due piccoli imprenditori, sia pure un po’ spaventati, non si sono dati per vinti. Hanno affidato a un avvocato il compito di tutelarli in sede legale e hanno aperto ugualmente il locale, infischiandosene delle minacce del signor McDonald’s. Anche se a scanso di equivoci, per ora hanno esposto un’insegna autocensurata: M** Bun.
Insomma, un po’ la ripetizione in salsa padana della storia - vera - del piccolo fornaio di Altamura che anni fa sconfisse il McDonald’s che aveva aperto davanti a lui, battagliando con cheeseburger e Big Mac a suon di pizzette e focacce con le olive pugliesi. Una vicenda sfociata persino in un film con Michele Placido.
E’ un po’ presto per capire se anche Mac Bun sconfiggerà il Moloch d’oltreoceano, ma per ora ha già vinto la battaglia mediatica. Più o meno tutti - dalla Coldiretti a Carlin Petrini di Slow Food, dai politici locali agli chef stellati - si sono schierati dalla parte del fast-food local e ai soci di Mac Bun già arrivate un paio di proposte per l’apertura in franchising di altre agri-hamburgerie, oltre a un invito a partecipare al Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio. E sabato scorso fuori dal locale di Rivoli c’era la coda, con gente disposta ad aspettare anche un’ora pur di assaggiare i panini con polpette a “km zero”.
Il Re del Fast Food per il momento tace. Forse in cuor suo rimpiange di aver provato a schiacciare quel fastidioso microbo, che in definitiva non gli avrebbe arrecato nessun danno economico. E che invece gli sta provocando parecchi grattacapi sotto il profilo dell’immagine. E magari maledice quella città - Torino - che già un paio d’anni fa gli aveva fatto uno sgambetto mediatico.
McDonald’s aveva licenziato una cameriera colpevole di aver regalato una bibita e un cartoccio di patatine a un bambino che elemosinava sotto i portici. Prezzo alla cassa: 4 euro. “All’azienda non ho rubato nulla”, si era difesa la donna messa alla porta, “Faceva parte del pranzo che mi spettava”. Niente da fare. Licenziata in tronco per giusta causa. Anche in quel caso c’era stato qualcuno - un avvocato - che ci aveva messo un pizzico di coraggio. E una dose di sana follia per affrontare il colosso a mani nude. In primo grado il giudice aveva dato torto alla lavoratrice, ma poi la notizia uscì sulla prima pagina di un giornale. L’appello venne fissato in pochi mesi e la corte di secondo grado ribaltò la sentenza, costringendo Golia a riassumere Davide. Una bella lezione di vita. Ma i colossi dell’economia non imparano mai: restano arroganti, aggressivi e ottusi.
http://www.mirorenzaglia.org/
Giorgio Ballario
Arroganti. Arroganti e aggressivi. Arroganti, aggressivi e anche ottusi. Perché vanificano, con un gesto arrogante, aggressivo e ottuso, milioni di euro d’investimenti pubblicitari per farsi un’immagine positiva. Le minacce del colosso americano McDonald’s, re mondiale del fast-food, a una microscopica agri-hamburgeria di Rivoli, in provincia di Torino, avrebbero anche un risvolto comico se non ci fossero di mezzo avvocati e carte bollate.
La vicenda è abbastanza nota perché, dopo essere uscita sulle pagine locali de La Stampa, è stata ripresa da blog e siti internet di mezza Italia. Agli intraprendenti Gaetano Scaglia e Francesco Bianco, imprenditori e allevatori del Torinese, è venuto in mente di mettere in pratica quel che da tempo predicano tanti teorici del mangiar sano e dei principi ecologici applicati alla filiera agroalimentare: aprire un fast-food a “chilometri zero”. Cioè con prodotti certificati e di qualità provenienti dal territorio. Quindi polpette di carne proveniente dall’allevamento della stessa famiglia Scaglia, vino del Monferrato, birra artigianale della Val Susa, patate locali fritte in olio di semi prodotto nel Cuneese, pane di un piccolo forno della zona.
Per dare un tocco simpatico allo slow-fast-food, Scaglia e Bianco hanno deciso di chiamarlo “Mac Bun”, che se da un lato fa indubbiamente venire in mente il gruppo multinazionale del “mangiare veloce”, dall’altro rimanda esplicitamente alla lingua piemontese (mac bun=solo buono). Ancora una volta local contro global, insomma. Ma gli avvocati della McDonald’s a quanto pare non conoscono il piemontese. E non hanno nemmeno il gusto dell’ironia. Pochi giorni dopo aver depositato il marchio alla Camera di Commercio, i due imprenditori di Rivoli si sono visti arrivare una diffida dai legali del Re del panino.
Quel “Mac”, secondo loro, richiama un po’ troppo il nome dell’enorme catena di fast-food, che campeggia da New York a Buenos Aires, da Pechino a Johannesburg. Proibito quindi usarlo nell’insegna del piccolo locale di Rivoli, pena una causa milionaria nella quale è facile prevedere chi la spunterebbe. Arroganti, aggressivi e pure preventivi, come hanno imparato ad esserlo gli americani anche in questioni più importanti e tragiche di una polpetta. Ma sempre ottusi.
Perché i due piccoli imprenditori, sia pure un po’ spaventati, non si sono dati per vinti. Hanno affidato a un avvocato il compito di tutelarli in sede legale e hanno aperto ugualmente il locale, infischiandosene delle minacce del signor McDonald’s. Anche se a scanso di equivoci, per ora hanno esposto un’insegna autocensurata: M** Bun.
Insomma, un po’ la ripetizione in salsa padana della storia - vera - del piccolo fornaio di Altamura che anni fa sconfisse il McDonald’s che aveva aperto davanti a lui, battagliando con cheeseburger e Big Mac a suon di pizzette e focacce con le olive pugliesi. Una vicenda sfociata persino in un film con Michele Placido.
E’ un po’ presto per capire se anche Mac Bun sconfiggerà il Moloch d’oltreoceano, ma per ora ha già vinto la battaglia mediatica. Più o meno tutti - dalla Coldiretti a Carlin Petrini di Slow Food, dai politici locali agli chef stellati - si sono schierati dalla parte del fast-food local e ai soci di Mac Bun già arrivate un paio di proposte per l’apertura in franchising di altre agri-hamburgerie, oltre a un invito a partecipare al Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio. E sabato scorso fuori dal locale di Rivoli c’era la coda, con gente disposta ad aspettare anche un’ora pur di assaggiare i panini con polpette a “km zero”.
Il Re del Fast Food per il momento tace. Forse in cuor suo rimpiange di aver provato a schiacciare quel fastidioso microbo, che in definitiva non gli avrebbe arrecato nessun danno economico. E che invece gli sta provocando parecchi grattacapi sotto il profilo dell’immagine. E magari maledice quella città - Torino - che già un paio d’anni fa gli aveva fatto uno sgambetto mediatico.
McDonald’s aveva licenziato una cameriera colpevole di aver regalato una bibita e un cartoccio di patatine a un bambino che elemosinava sotto i portici. Prezzo alla cassa: 4 euro. “All’azienda non ho rubato nulla”, si era difesa la donna messa alla porta, “Faceva parte del pranzo che mi spettava”. Niente da fare. Licenziata in tronco per giusta causa. Anche in quel caso c’era stato qualcuno - un avvocato - che ci aveva messo un pizzico di coraggio. E una dose di sana follia per affrontare il colosso a mani nude. In primo grado il giudice aveva dato torto alla lavoratrice, ma poi la notizia uscì sulla prima pagina di un giornale. L’appello venne fissato in pochi mesi e la corte di secondo grado ribaltò la sentenza, costringendo Golia a riassumere Davide. Una bella lezione di vita. Ma i colossi dell’economia non imparano mai: restano arroganti, aggressivi e ottusi.
http://www.mirorenzaglia.org/
lunedì 12 ottobre 2009
la tua amica banca
Ci fa piacere segnalare questo blog http://blog.libero.it/raccontalebanche/ con cui si vuole "controinformare" sulla realtà delle banche.
mercoledì 29 aprile 2009
Vi fosse sfuggito
Da REPUBBLICA
Per il compleanno di Roma si alza la polemica politica. Il Pd contesta l'allestimento proposto dal sindaco Gianni Alemanno per ricordare il 21 aprile del 753 a.C., in cui la tradizione popolare vuole la fondazione della futura capitale d'Italia. Non è piaciuto lo show di luci e immagini proposto ieri sera ai Mercati di Traiano, preludio degli appuntamenti organizzati domani in Campidoglio e lungo i Fori Imperiali. Le scene usate per evocare il passato della città, sono state giudicate improprie e tali da indurre "il sindaco a chiedere scusa ai romani". Parola del deputato Pd Walter Verini che quell'accostamento di Benito Mussolini che pronuncia la dichiarazione di guerra alle scene del film sulla Resistenza "Roma città aperta", proprio non gli sono andate giù. "Una cosa gravissima per la quale sindaco e amministrazione farebbero bene a scusarsi con la città", ha detto Verini. "La proiezione è avvenuta senza alcuna presa di distanza da un evento che gettò l'Italia nell'orrore della guerra insieme ai nazisti di Hitler. Roma, città medaglia d'oro della Resistenza, non merita queste offese alla memoria". Neppure la nipote del dittatore è convinta che la scelta del comune sia stata la più felice. Seppure esprime un giudizio non del tutto negativo sulla kermesse, Alessandra Mussolini, parlamentare del Pdl, ammette che "accostare Nerone a Benito Mussolini non è il massimo dal punto di vista storico". Ma l'assessore comunale alla cultura Umberto Croppi, supervisore dell'iniziativa Romagnificat - il Natale di Roma, non accetta critiche e spiega: "Le immagini di Mussolini erano in chiave negativa. Nella lunga carrellata di immagini che hanno ricostruito la storia di Roma, le sequenze della dichiarazione di guerra di Mussolini letta dal balcone di piazza Venezia, erano messe chiaramente in una chiave negativa. Nel video, Mussolini viene messo in sovraimpressione con Nerone che canta la distruzione della città e subito dopo si vedono gli effetti di quella dichiarazione di guerra nelle tragiche immagini di "Roma città aperta". Non c'era nessun intento celebrativo ma, al contrario, la memoria e la condanna del dramma della guerra e dell'occupazione nazista."
Per il compleanno di Roma si alza la polemica politica. Il Pd contesta l'allestimento proposto dal sindaco Gianni Alemanno per ricordare il 21 aprile del 753 a.C., in cui la tradizione popolare vuole la fondazione della futura capitale d'Italia. Non è piaciuto lo show di luci e immagini proposto ieri sera ai Mercati di Traiano, preludio degli appuntamenti organizzati domani in Campidoglio e lungo i Fori Imperiali. Le scene usate per evocare il passato della città, sono state giudicate improprie e tali da indurre "il sindaco a chiedere scusa ai romani". Parola del deputato Pd Walter Verini che quell'accostamento di Benito Mussolini che pronuncia la dichiarazione di guerra alle scene del film sulla Resistenza "Roma città aperta", proprio non gli sono andate giù. "Una cosa gravissima per la quale sindaco e amministrazione farebbero bene a scusarsi con la città", ha detto Verini. "La proiezione è avvenuta senza alcuna presa di distanza da un evento che gettò l'Italia nell'orrore della guerra insieme ai nazisti di Hitler. Roma, città medaglia d'oro della Resistenza, non merita queste offese alla memoria". Neppure la nipote del dittatore è convinta che la scelta del comune sia stata la più felice. Seppure esprime un giudizio non del tutto negativo sulla kermesse, Alessandra Mussolini, parlamentare del Pdl, ammette che "accostare Nerone a Benito Mussolini non è il massimo dal punto di vista storico". Ma l'assessore comunale alla cultura Umberto Croppi, supervisore dell'iniziativa Romagnificat - il Natale di Roma, non accetta critiche e spiega: "Le immagini di Mussolini erano in chiave negativa. Nella lunga carrellata di immagini che hanno ricostruito la storia di Roma, le sequenze della dichiarazione di guerra di Mussolini letta dal balcone di piazza Venezia, erano messe chiaramente in una chiave negativa. Nel video, Mussolini viene messo in sovraimpressione con Nerone che canta la distruzione della città e subito dopo si vedono gli effetti di quella dichiarazione di guerra nelle tragiche immagini di "Roma città aperta". Non c'era nessun intento celebrativo ma, al contrario, la memoria e la condanna del dramma della guerra e dell'occupazione nazista."
martedì 28 aprile 2009
UDC candida
In viaggio per la libertà
IL PULLMAN ROSSO
Venerdì 1° maggio, alle ore 18.00, in Piazza Madonna di Loreto a Roma (Fori Imperiali),
verrà inaugurato Il Pullman Rosso, un caratteristico double decker londinese che ospita
una mostra fotografica itinerante dedicata alla Birmania e alla lotta per la libertà condotta
dalle minoranze etniche di quel paese.
iniziativa, realizzata dalle associazioni Uomo Libero (www.luomolibero.it) e Popoli
Onlus (www.comunitapopoli.org), ha lo scopo di informare sulla situazione della
repressione condotta nei confronti di numerose popolazioni da parte della giunta militare di
Rangoon.
Il pullman è stato dotato di quattro monitor, sui quali verranno proiettate fotografie di diversi professionisti, tutti reduci da viaggi in Birmania, tra la gente di Rangoon oppure tra i guerriglieri e i profughi Karen, nascosti nelle giungle orientali del Paese, oggi ribattezzato Myanmar.
Tra gli autori dei reportage Giuliano Koren, Andrea
Pandini e il futurista Graziano Cecchini, ,che ha realizzato
anche un libro fotografico nato
dall'esperienza di un viaggio da clandestino nelle zone dei Karen, la
minoranza che si batte con coraggio per l'autodeterminazione e contro la
produzione e il commercio di droga.
Il giorno 8 maggio il pullman lascerà Roma, per spostarsi in Abruzzo,
dove si trasformerà in un cinema mobile in cui si proietteranno cartoni
animati e film per i ragazzi terremotati. Una deviazione dal percorso
inizialmente programmato per contribuire, con qualche ora di svago, al
divertimento dei piccoli abruzzesi dei paesi più isolati.
A bordo del pullman verranno caricati anche giocattoli e beni di prima
necessità per i bambini, frutto di una raccolta avviata nei giorni
immediatamente successivi al sisma.
Tra le altre tappe del pullman ci saranno Marino, Anzio, Nettuno, Monterotondo, Lecce,
Salemi, Arezzo, Firenze, Trieste, Verona, Varese, Busto Arsizio, Trento, Bolzano,
Rovereto, Riva del Garda.
Special guest allinterno de Il Pullman Rosso è la Laogai Research Foundation, con un
video sulle brutalità, le fucilazioni e i traffici d'organi del regime cinese.
CONTATTI: 348 2698004
Venerdì 1° maggio, alle ore 18.00, in Piazza Madonna di Loreto a Roma (Fori Imperiali),
verrà inaugurato Il Pullman Rosso, un caratteristico double decker londinese che ospita
una mostra fotografica itinerante dedicata alla Birmania e alla lotta per la libertà condotta
dalle minoranze etniche di quel paese.
iniziativa, realizzata dalle associazioni Uomo Libero (www.luomolibero.it) e Popoli
Onlus (www.comunitapopoli.org), ha lo scopo di informare sulla situazione della
repressione condotta nei confronti di numerose popolazioni da parte della giunta militare di
Rangoon.
Il pullman è stato dotato di quattro monitor, sui quali verranno proiettate fotografie di diversi professionisti, tutti reduci da viaggi in Birmania, tra la gente di Rangoon oppure tra i guerriglieri e i profughi Karen, nascosti nelle giungle orientali del Paese, oggi ribattezzato Myanmar.
Tra gli autori dei reportage Giuliano Koren, Andrea
Pandini e il futurista Graziano Cecchini, ,che ha realizzato
anche un libro fotografico nato
dall'esperienza di un viaggio da clandestino nelle zone dei Karen, la
minoranza che si batte con coraggio per l'autodeterminazione e contro la
produzione e il commercio di droga.
Il giorno 8 maggio il pullman lascerà Roma, per spostarsi in Abruzzo,
dove si trasformerà in un cinema mobile in cui si proietteranno cartoni
animati e film per i ragazzi terremotati. Una deviazione dal percorso
inizialmente programmato per contribuire, con qualche ora di svago, al
divertimento dei piccoli abruzzesi dei paesi più isolati.
A bordo del pullman verranno caricati anche giocattoli e beni di prima
necessità per i bambini, frutto di una raccolta avviata nei giorni
immediatamente successivi al sisma.
Tra le altre tappe del pullman ci saranno Marino, Anzio, Nettuno, Monterotondo, Lecce,
Salemi, Arezzo, Firenze, Trieste, Verona, Varese, Busto Arsizio, Trento, Bolzano,
Rovereto, Riva del Garda.
Special guest allinterno de Il Pullman Rosso è la Laogai Research Foundation, con un
video sulle brutalità, le fucilazioni e i traffici d'organi del regime cinese.
CONTATTI: 348 2698004
Pullman rosso
in viaggio per la libertà
INAUGURAZIONE
Venerdì 1° maggio, alle ore 18.00, in Piazza Madonna di Loreto a Roma (Fori Imperiali),
verrà inaugurato Il Pullman Rosso, un caratteristico double decker londinese che ospita
una mostra fotografica itinerante dedicata alla Birmania e alla lotta per la libertà condotta
dalle minoranze etniche di quel paese.
L'iniziativa, realizzata dalle associazioni Uomo Libero (www.luomolibero.it) e Popoli
Onlus (www.comunitapopoli.org), ha lo scopo di informare sulla situazione della
repressione condotta nei confronti di numerose popolazioni da parte della giunta militare di
Rangoon.
Il pullman è stato dotato di quattro monitor, sui quali
verranno proiettate fotografie di diversi professionisti,
tutti reduci da viaggi in Birmania, tra la gente di
Rangoon oppure tra i guerriglieri e i profughi Karen,
nascosti nelle giungle orientali del Paese, oggi
ribattezzato Myanmar.
Tra gli autori dei reportage Giuliano Koren, Andrea
Pandini e il futurista Graziano Cecchini, alias
RossoTrevi, che ha realizzato
anche un libro fotografico nato
dall'esperienza di un viaggio da clandestino nelle zone dei Karen, la
minoranza che si batte con coraggio per l'autodeterminazione e contro la
produzione e il commercio di droga.
Il giorno 8 maggio il pullman lascerà Roma, per spostarsi in Abruzzo,
dove si trasformerà in un cinema mobile in cui si proietteranno cartoni
animati e film per i ragazzi terremotati. Una deviazione dal percorso
inizialmente programmato per contribuire, con qualche ora di svago, al
divertimento dei piccoli abruzzesi dei paesi più isolati.
A bordo del pullman verranno caricati anche giocattoli e beni di prima
necessità per i bambini, frutto di una raccolta avviata nei giorni
immediatamente successivi al sisma.
Tra le altre tappe del pullman ci saranno Marino, Anzio, Nettuno, Monterotondo, Lecce,
Salemi, Arezzo, Firenze, Trieste, Verona, Varese, Busto Arsizio, Trento, Bolzano,
Rovereto, Riva del Garda.
Da segnalare la presenza ,all'interno de Il Pullman Rosso,della Laogai Research Foundation, con un video sulle brutalità, le fucilazioni e i traffici d'organi del regime cinese.
CONTATTI: 348 2698004
INAUGURAZIONE
Venerdì 1° maggio, alle ore 18.00, in Piazza Madonna di Loreto a Roma (Fori Imperiali),
verrà inaugurato Il Pullman Rosso, un caratteristico double decker londinese che ospita
una mostra fotografica itinerante dedicata alla Birmania e alla lotta per la libertà condotta
dalle minoranze etniche di quel paese.
L'iniziativa, realizzata dalle associazioni Uomo Libero (www.luomolibero.it) e Popoli
Onlus (www.comunitapopoli.org), ha lo scopo di informare sulla situazione della
repressione condotta nei confronti di numerose popolazioni da parte della giunta militare di
Rangoon.
Il pullman è stato dotato di quattro monitor, sui quali
verranno proiettate fotografie di diversi professionisti,
tutti reduci da viaggi in Birmania, tra la gente di
Rangoon oppure tra i guerriglieri e i profughi Karen,
nascosti nelle giungle orientali del Paese, oggi
ribattezzato Myanmar.
Tra gli autori dei reportage Giuliano Koren, Andrea
Pandini e il futurista Graziano Cecchini, alias
RossoTrevi, che ha realizzato
anche un libro fotografico nato
dall'esperienza di un viaggio da clandestino nelle zone dei Karen, la
minoranza che si batte con coraggio per l'autodeterminazione e contro la
produzione e il commercio di droga.
Il giorno 8 maggio il pullman lascerà Roma, per spostarsi in Abruzzo,
dove si trasformerà in un cinema mobile in cui si proietteranno cartoni
animati e film per i ragazzi terremotati. Una deviazione dal percorso
inizialmente programmato per contribuire, con qualche ora di svago, al
divertimento dei piccoli abruzzesi dei paesi più isolati.
A bordo del pullman verranno caricati anche giocattoli e beni di prima
necessità per i bambini, frutto di una raccolta avviata nei giorni
immediatamente successivi al sisma.
Tra le altre tappe del pullman ci saranno Marino, Anzio, Nettuno, Monterotondo, Lecce,
Salemi, Arezzo, Firenze, Trieste, Verona, Varese, Busto Arsizio, Trento, Bolzano,
Rovereto, Riva del Garda.
Da segnalare la presenza ,all'interno de Il Pullman Rosso,della Laogai Research Foundation, con un video sulle brutalità, le fucilazioni e i traffici d'organi del regime cinese.
CONTATTI: 348 2698004
domenica 26 aprile 2009
Carlos,strage Bologna
PARIGI —
Carlos lo sciacallo, per la prima volta davanti a un magistrato italiano, detta la risposta in lingua francese: «La strage del 2 agosto, a Bologna, non è opera dei fascisti». Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, così come Luigi Ciavardini, i neofascisti condannati per la bomba alla stazione coi suoi 85 morti e i duecento feriti, non avrebbero nulla a che fare con la terribile esplosione al tritolo che nell'estate del 1980 sbriciolò la sala d'aspetto di seconda classe e investì il treno Ancona-Chiasso in sosta sul primo binario. Ascoltato per rogatoria dal pubblico ministero bolognese Enrico Cieri, entrato alle nove di venerdì col funzionario della Digos Marotta nell'austero Palazzo di Giustizia parigino che guarda in faccia le punte della cattedrale di Notre Dame e taglia in due la Senna, il terrorista internazionale di origini venezuelane non batte ciglio e ripete: «A mettere la bomba a Bologna non sono stati né i rivoluzionari né i fascisti...».
Allora chi è stato, insiste il magistrato aggiustandosi gli occhiali sul naso. Ma Carlos, in camicia rossa, ben sistemato nei suoi sessant'anni in arrivo il prossimo 12 ottobre, va per i fatti suoi: «Io voglio parlare davanti a una commissione ministeriale, non a un magistrato... comunque quella è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene. Il guaio è che l'Italia è una semicolonia degli Stati Uniti, ragion per cui nel vostro Paese non si possono risolvere i tanti misteri... L'Italia dal 1943 è metà pizzeria e metà bordello degli americani, per questo non si risolve nulla... e lo stesso vale per la Germania, semicolonia americana dal 1945».
Carlos, il cui vero nome è Ilich Ramirez Sanchez, detenuto nel carcere francese di Poissy e famoso per l'assalto al quartier generale dell'Opec nel 1975, spiega anche perché «non possono essere stati i neofascisti» a mettere la bomba alla stazione di Bologna. «In quegli anni — detta — il traffico di armi ed esplosivi attraverso l'Italia era cosa soltanto nostra. Col beneplacito dei servizi italiani, coi quali noi rivoluzionari trattavamo personalmente, i compagni potevano attraversare l'Italia, così come la Grecia, con tutte le armi in arrivo da Saddam Hussein. Per questo posso certamente dire che in quei giorni mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere in mano i neofascisti italiani. Quel tritolo viene dai militari... Tra i rivoluzionari palestinesi e l'Ori (l'Organizzazione dei rivoluzionari internazionali, quella di Carlos, ndr) — puntualizza il terrorista — i patti con i servizi segreti italiani erano chiari: in Italia traffico di armi sì, attentati no... E noi abbiamo mantenuto la parola». Quindi Carlos demolisce anche la tesi di Cossiga, quella dello scoppio accidentale dell'esplosivo in transito: «Conosco bene quel tritolo, non suda, non si muove... per farlo saltare serve per forza l'innesco».
A fianco di Carlos, portato in tutta sicurezza al primo piano del tribunale circondato dalla Gendarmeria, ci sono gli avvocati Sandro Clementi e Isabelle Coutant. Con loro l'interprete Sophie Blanco. Davanti al terrorista, a far domande, stanno seduti il giudice istruttore Yves Jannier (che ha sostituito Brughier) e il pm Cieri, l'ufficiale di collegamento italiano in Francia, Forcella, e il magistrato italiano di collegamento a Parigi, Camelieri. Prima di iniziare «lo sciacallo» li fissa negli occhi uno per uno, prende carta e penna e chiede a ognuno di loro nome e cognome. Non tutti rispondono. A un tratto il magistrato bolognese tira fuori un album fotografico e chiede a Carlos se conosce Abu Saleh Anzeh, rappresentante in Italia del Fronte popolare per la liberazione della palestina (Fplp). Sorride, «lo sciacallo».
Prima di diventare segretario a Damasco di George Abbash, Anzeh era il suo uomo delegato ai rapporti con i servizi segreti militari. «Del resto noi eravamo organizzati militarmente — spiega Carlos — per questo subito dopo lo scoppio a Bologna ho ricevuto un rapporto scritto. Noi, prima di tutti, volevamo capire cosa fosse accaduto». A inviarlo, dice ancora, è stata Magdalena Cecilia Kop, nel 1980 una semplice militante poi diventata sua moglie, oggi ripudiata perché starebbe collaborando con il Bka, la polizia politica tedesca. «Andate a chiederlo a lei cosa c'era scritto... I servizi sapevano bene che a Bologna quel giorno c'era Thomas Kram e farlo saltare in aria con la stazione sarebbe stato come mettere la firma dei palestinesi sull'eccidio... Così l'Italia si sarebbe staccata dai palestinesi e avvicinata agli israeliani. Ma Kram (già interrogato dal pm Cieri, ndr) si è salvato e l'operazione è fallita. Thomas era braccato passo passo dagli 007... In realtà era diretto a Perugia. Perché non tutti lo sanno, ma il '68 non è nato a Parigi, è nato a Perugia nel 1967».
Biagio Marsiglia26 aprile 2009
fonte: Corriere della Sera
link:http://www.corriere.it/cronache/09_aprile_26/strage_bologna_carlos_assolve_mambro_fioravanti_2afc92f8-3213-11de-becc-00144f02aabc.shtml
Carlos lo sciacallo, per la prima volta davanti a un magistrato italiano, detta la risposta in lingua francese: «La strage del 2 agosto, a Bologna, non è opera dei fascisti». Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, così come Luigi Ciavardini, i neofascisti condannati per la bomba alla stazione coi suoi 85 morti e i duecento feriti, non avrebbero nulla a che fare con la terribile esplosione al tritolo che nell'estate del 1980 sbriciolò la sala d'aspetto di seconda classe e investì il treno Ancona-Chiasso in sosta sul primo binario. Ascoltato per rogatoria dal pubblico ministero bolognese Enrico Cieri, entrato alle nove di venerdì col funzionario della Digos Marotta nell'austero Palazzo di Giustizia parigino che guarda in faccia le punte della cattedrale di Notre Dame e taglia in due la Senna, il terrorista internazionale di origini venezuelane non batte ciglio e ripete: «A mettere la bomba a Bologna non sono stati né i rivoluzionari né i fascisti...».
Allora chi è stato, insiste il magistrato aggiustandosi gli occhiali sul naso. Ma Carlos, in camicia rossa, ben sistemato nei suoi sessant'anni in arrivo il prossimo 12 ottobre, va per i fatti suoi: «Io voglio parlare davanti a una commissione ministeriale, non a un magistrato... comunque quella è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene. Il guaio è che l'Italia è una semicolonia degli Stati Uniti, ragion per cui nel vostro Paese non si possono risolvere i tanti misteri... L'Italia dal 1943 è metà pizzeria e metà bordello degli americani, per questo non si risolve nulla... e lo stesso vale per la Germania, semicolonia americana dal 1945».
Carlos, il cui vero nome è Ilich Ramirez Sanchez, detenuto nel carcere francese di Poissy e famoso per l'assalto al quartier generale dell'Opec nel 1975, spiega anche perché «non possono essere stati i neofascisti» a mettere la bomba alla stazione di Bologna. «In quegli anni — detta — il traffico di armi ed esplosivi attraverso l'Italia era cosa soltanto nostra. Col beneplacito dei servizi italiani, coi quali noi rivoluzionari trattavamo personalmente, i compagni potevano attraversare l'Italia, così come la Grecia, con tutte le armi in arrivo da Saddam Hussein. Per questo posso certamente dire che in quei giorni mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere in mano i neofascisti italiani. Quel tritolo viene dai militari... Tra i rivoluzionari palestinesi e l'Ori (l'Organizzazione dei rivoluzionari internazionali, quella di Carlos, ndr) — puntualizza il terrorista — i patti con i servizi segreti italiani erano chiari: in Italia traffico di armi sì, attentati no... E noi abbiamo mantenuto la parola». Quindi Carlos demolisce anche la tesi di Cossiga, quella dello scoppio accidentale dell'esplosivo in transito: «Conosco bene quel tritolo, non suda, non si muove... per farlo saltare serve per forza l'innesco».
A fianco di Carlos, portato in tutta sicurezza al primo piano del tribunale circondato dalla Gendarmeria, ci sono gli avvocati Sandro Clementi e Isabelle Coutant. Con loro l'interprete Sophie Blanco. Davanti al terrorista, a far domande, stanno seduti il giudice istruttore Yves Jannier (che ha sostituito Brughier) e il pm Cieri, l'ufficiale di collegamento italiano in Francia, Forcella, e il magistrato italiano di collegamento a Parigi, Camelieri. Prima di iniziare «lo sciacallo» li fissa negli occhi uno per uno, prende carta e penna e chiede a ognuno di loro nome e cognome. Non tutti rispondono. A un tratto il magistrato bolognese tira fuori un album fotografico e chiede a Carlos se conosce Abu Saleh Anzeh, rappresentante in Italia del Fronte popolare per la liberazione della palestina (Fplp). Sorride, «lo sciacallo».
Prima di diventare segretario a Damasco di George Abbash, Anzeh era il suo uomo delegato ai rapporti con i servizi segreti militari. «Del resto noi eravamo organizzati militarmente — spiega Carlos — per questo subito dopo lo scoppio a Bologna ho ricevuto un rapporto scritto. Noi, prima di tutti, volevamo capire cosa fosse accaduto». A inviarlo, dice ancora, è stata Magdalena Cecilia Kop, nel 1980 una semplice militante poi diventata sua moglie, oggi ripudiata perché starebbe collaborando con il Bka, la polizia politica tedesca. «Andate a chiederlo a lei cosa c'era scritto... I servizi sapevano bene che a Bologna quel giorno c'era Thomas Kram e farlo saltare in aria con la stazione sarebbe stato come mettere la firma dei palestinesi sull'eccidio... Così l'Italia si sarebbe staccata dai palestinesi e avvicinata agli israeliani. Ma Kram (già interrogato dal pm Cieri, ndr) si è salvato e l'operazione è fallita. Thomas era braccato passo passo dagli 007... In realtà era diretto a Perugia. Perché non tutti lo sanno, ma il '68 non è nato a Parigi, è nato a Perugia nel 1967».
Biagio Marsiglia26 aprile 2009
fonte: Corriere della Sera
link:http://www.corriere.it/cronache/09_aprile_26/strage_bologna_carlos_assolve_mambro_fioravanti_2afc92f8-3213-11de-becc-00144f02aabc.shtml
Canto LXXII Ezra Pound
Purché si cominci a ricordare la guerra di merda
certi fatti risorgeranno. Nel principio, Dio,
il grande esteta, dopo aver creato cielo e mondo,
dopo il tramonto volcanico, dopo aver dipinto
la roccia con licheni a modo nipponico,
cacò il gra usuraio Satana-Gerione, prototipo
dei padroni di Churchill. E mi viene ora a cantar
in gergo rozzo (non a (h)antar 'oscano) ché
dopo la sua morte mi venne Filippo Tomaso dicando:
"Bè, sono morto,
ma non voglio andare in Paradiso, voglio combattere ancora.
Voglio il tuo corpo, con che potrei ancora combattere".
Ed io risposi: "Già vecchio il mio corpo,
Tomaso e poi, dove andrei? Ne ho bisogno io del corpo.
Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te;
ma se vuoi ancora combattere, va; piglia qualche giovinotto
pigiate hualche ziovinozz' imbelle ed imbecille
per fargli un po' di coraggio, per dargli un po' di cervello
per dare all'Italia ancor' un eroe fra tanti;
così puoi rinascere, così diventare pantera,
così puoi conoscere la bi-nascita, e morir una seconda volta
non morir viejo a letto,
anzi morir a suon di battaglia
per aver Paradiso.
Purgatorio già hai fatto
dopo il tradimento, nei giorni di Settembre Ventunesimo,
nei giorni del crollo.
Vai! Vai a farti di nuovo eroe.
Lascia a me la parola.
Lascia a me ch'io mi spieghi,
ch'io faccia il canto della guerra eterna
fra luce e fango.
Addio, Marinetti!
Tornaci a parlar quando ti sembra"
. "PRESENTE"
e, dopo quel grido forte, mesto aggiunse:
"In molto seguii vuota vanitade,
spettacolo amai più che saggezza
ne conobbi i savi antichi e mai non lessi p
arola di Confucio né di Mencio.
Io cantai la guerra, tu hai voluta pace,
orbi ambedue!
Che all'interno io mancai, tu all'odierno".
E parlava a me
in parte solamente né al vicino
una parte di se con se dialogava
e non di se il centro; e da grigia
la sua ombra si fè più grigia
finché un altro tono della gamma
uscì dalla diafana del cavo vuoto:
"Vomon le nari spiriti di fiamma"
Ed io:
"Venisti tu Torquato Dazzi a ninna-nannarmi i versi
che traducesti vent'anni or sono per svegliar Mussato?
Tu con Marinetti fai il paio
ambi in eccesso amaste, lui l'avvenire
e tu il passato.
Sovra-voler produce sovra-effetto
purtroppo troppo, egli distrugger volle
ed or vediamo le sue rovine più che nel suo voler".
Ma il primo spirito impaziente
come chi porta notizia urgente
e non sopporta affare di minor urgenza
riprese, ed io riconobbi la voce di Marinetti
come sentita Lungotevere, in Piazza Adriana:
"Vai! Vai!
Da Macalè sul lembo estremo
del gobi, bianco nella sabbia, un teschio
CANTA
e non par stanco, ma canta, canta:
-Alamein! Alamein!
Noi torneremo!
N O I T O R N E R E M O !-"
"Lo credo", diss'io,
e mi pare che di codesta risposta ebbe pace.
Ma l'altro spirito tornò al suo ritornello
con:
"poco minor d'un toro"...
(che è verso dell'Eccerinus
tradotto dal latino).
Egli non pose fine al verso.
Perché tutta l'aria tremò, e tutta l'ombra
con sconquasso
e come tuono che la pioggia ingombra
saettava frasi senza senso. Finché con scrocchio
come nello scafo sommerso quando il raggio lo trova
che precorre forse la morte
ed in ogni caso gran pena,
udii in stridio crepitar
': "Calunnia Guelfa, e sempre la loro arm
a fu la calunnia, ed è, e non da ieri.
Furia la guerra antica in Romagna
lo sterco sale sino a Bologna
con stupro e fuoco, e dove il cavallo bagna
son marocchini ed altra genia
che nominar è vergogna,
sì che il sepolto polvere s'affasca
nel profondo, e muove, e spira,
e, per cacciar lo straniero, agogna
a tornar vivo.
Di sporco vidi io parecchio ai miei tempi,
la storia dà esempi a serie sporca
di chi tradì città o una provincia
ma quel mezzo feto
tutta l'Italia vendé e l'Impero!
Rimini arsa e Forlì distrutta,
chi vedrà più il sepolcro di Gemisto
che tanto savio fu, se pur fu greco?
Giù son gli archi e combusti i muri
del letto arcano della divina Ixotta..."
"Ma chi sei?" clamai
contra la furia della sua tempesta,
"Sei tu Sigismundo?"
Ma egli non m'ascoltòfuriando:
"Più presto sarà monda la Sede
da un Borgia che non da un Pacelli.
Figlio d'usuraio fu Sisto
e tutta la lor combutta
di Pietro negator' degni seguaci,
d'usura grassi e di ottimi contratti!
Ch'or' vengon' a muggirVi che Farinacci
ha mani rozze, perché è mangia foglia.
Ha una mano rozza, ma l'altra ha dato
così avendo onore cogli eroi,
tanti ne sono: Tellera, Maletti,
Miele, de Carolis e Lorenzini
Guido Piacenza, Orsi e pedrieri
fiol di banchiere fu Clemente, e nato
d'usuraio il Decimo Leone..."
"Chi sei?" clamai
"Io son quell'Ezzelino che non credé
che il mondo fu creato da un ebreo.
Se d'altro scatto io fossi reo
poco t'importa ora.
Mi tradì chi il tuo amico ha tradotto
cioè Mussato, che ha scritto
ch'io son fiol d'Orco,
e se tu credi a simile patocchia
ogni carota può ben farti ciuco.
Il bello Adonide morì d'un porco
a far pianger' la Ciprigna bella.
Se feci giocattolo della ragione
direi che un toro da macello,
o dal zoologo, vale un piccione;
chi delle favole prende piacere e gioia
dirà che l'animale non fa la religione.
Un solo falso fa più al mondo boia
che i miei scatti: tutti! Ragna, ragnaccia!
Cavami quella belva dal suo buco
se non è questa:
Bestia umana ama la pastoia?
Se mai l'imperatore quel dono fece,
Bisanzio fu madre del trambusto,
lo fece senza forma e contra legge,
scindendo sé dal sé e dallo giusto;
né Cesare se stesso mise in schegge,
né Pietro pietra fu prima che Augusto
tutta la virtù ebbe e funzione.
Chi dà in legge è solo il possidente,
e'l caso ghibellin ben seppe il fiorentino".
E come onde che vengon da più di un trasmittente
sentii allora
le voci fuse e con frasi rotte
e molti uccelli fecer' contrappunto
nel mattino estivo,
fra il cui cigolar
in tono soave:
"Placidia fui, sotto l'oro dormivo".
Suonava come note di ben tesa corda.
"Malinconia di donna e la dolcezza"...
Ma io ebbi la pelle convulsa
fra le mie spalle,
e il mi polso preso
in sì ferreo laccio
che muover non potei
né mano né spalla, e ad afferrare il polso
io vidi un pugno
e non vidi avambraccio
che mi tenne come chiodo in muro;
mi crede insulso chi non ha fatto la prova.
E poi la voce che prima furiava,
mi disse feroce, dico feroce, ma non ostile
anzi era paterna quasi, come chi spiega
in mezzo di battaglia che deve fare un giovin' poco esperto:
"La voglia è antica, ma la mano è nuova.
Bada! Bada a me, prima ch'io torni
nella notte.
Dove il teschio canta
torneranno i fanti, torneranno le bandiere".
certi fatti risorgeranno. Nel principio, Dio,
il grande esteta, dopo aver creato cielo e mondo,
dopo il tramonto volcanico, dopo aver dipinto
la roccia con licheni a modo nipponico,
cacò il gra usuraio Satana-Gerione, prototipo
dei padroni di Churchill. E mi viene ora a cantar
in gergo rozzo (non a (h)antar 'oscano) ché
dopo la sua morte mi venne Filippo Tomaso dicando:
"Bè, sono morto,
ma non voglio andare in Paradiso, voglio combattere ancora.
Voglio il tuo corpo, con che potrei ancora combattere".
Ed io risposi: "Già vecchio il mio corpo,
Tomaso e poi, dove andrei? Ne ho bisogno io del corpo.
Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te;
ma se vuoi ancora combattere, va; piglia qualche giovinotto
pigiate hualche ziovinozz' imbelle ed imbecille
per fargli un po' di coraggio, per dargli un po' di cervello
per dare all'Italia ancor' un eroe fra tanti;
così puoi rinascere, così diventare pantera,
così puoi conoscere la bi-nascita, e morir una seconda volta
non morir viejo a letto,
anzi morir a suon di battaglia
per aver Paradiso.
Purgatorio già hai fatto
dopo il tradimento, nei giorni di Settembre Ventunesimo,
nei giorni del crollo.
Vai! Vai a farti di nuovo eroe.
Lascia a me la parola.
Lascia a me ch'io mi spieghi,
ch'io faccia il canto della guerra eterna
fra luce e fango.
Addio, Marinetti!
Tornaci a parlar quando ti sembra"
. "PRESENTE"
e, dopo quel grido forte, mesto aggiunse:
"In molto seguii vuota vanitade,
spettacolo amai più che saggezza
ne conobbi i savi antichi e mai non lessi p
arola di Confucio né di Mencio.
Io cantai la guerra, tu hai voluta pace,
orbi ambedue!
Che all'interno io mancai, tu all'odierno".
E parlava a me
in parte solamente né al vicino
una parte di se con se dialogava
e non di se il centro; e da grigia
la sua ombra si fè più grigia
finché un altro tono della gamma
uscì dalla diafana del cavo vuoto:
"Vomon le nari spiriti di fiamma"
Ed io:
"Venisti tu Torquato Dazzi a ninna-nannarmi i versi
che traducesti vent'anni or sono per svegliar Mussato?
Tu con Marinetti fai il paio
ambi in eccesso amaste, lui l'avvenire
e tu il passato.
Sovra-voler produce sovra-effetto
purtroppo troppo, egli distrugger volle
ed or vediamo le sue rovine più che nel suo voler".
Ma il primo spirito impaziente
come chi porta notizia urgente
e non sopporta affare di minor urgenza
riprese, ed io riconobbi la voce di Marinetti
come sentita Lungotevere, in Piazza Adriana:
"Vai! Vai!
Da Macalè sul lembo estremo
del gobi, bianco nella sabbia, un teschio
CANTA
e non par stanco, ma canta, canta:
-Alamein! Alamein!
Noi torneremo!
N O I T O R N E R E M O !-"
"Lo credo", diss'io,
e mi pare che di codesta risposta ebbe pace.
Ma l'altro spirito tornò al suo ritornello
con:
"poco minor d'un toro"...
(che è verso dell'Eccerinus
tradotto dal latino).
Egli non pose fine al verso.
Perché tutta l'aria tremò, e tutta l'ombra
con sconquasso
e come tuono che la pioggia ingombra
saettava frasi senza senso. Finché con scrocchio
come nello scafo sommerso quando il raggio lo trova
che precorre forse la morte
ed in ogni caso gran pena,
udii in stridio crepitar
': "Calunnia Guelfa, e sempre la loro arm
a fu la calunnia, ed è, e non da ieri.
Furia la guerra antica in Romagna
lo sterco sale sino a Bologna
con stupro e fuoco, e dove il cavallo bagna
son marocchini ed altra genia
che nominar è vergogna,
sì che il sepolto polvere s'affasca
nel profondo, e muove, e spira,
e, per cacciar lo straniero, agogna
a tornar vivo.
Di sporco vidi io parecchio ai miei tempi,
la storia dà esempi a serie sporca
di chi tradì città o una provincia
ma quel mezzo feto
tutta l'Italia vendé e l'Impero!
Rimini arsa e Forlì distrutta,
chi vedrà più il sepolcro di Gemisto
che tanto savio fu, se pur fu greco?
Giù son gli archi e combusti i muri
del letto arcano della divina Ixotta..."
"Ma chi sei?" clamai
contra la furia della sua tempesta,
"Sei tu Sigismundo?"
Ma egli non m'ascoltòfuriando:
"Più presto sarà monda la Sede
da un Borgia che non da un Pacelli.
Figlio d'usuraio fu Sisto
e tutta la lor combutta
di Pietro negator' degni seguaci,
d'usura grassi e di ottimi contratti!
Ch'or' vengon' a muggirVi che Farinacci
ha mani rozze, perché è mangia foglia.
Ha una mano rozza, ma l'altra ha dato
così avendo onore cogli eroi,
tanti ne sono: Tellera, Maletti,
Miele, de Carolis e Lorenzini
Guido Piacenza, Orsi e pedrieri
fiol di banchiere fu Clemente, e nato
d'usuraio il Decimo Leone..."
"Chi sei?" clamai
"Io son quell'Ezzelino che non credé
che il mondo fu creato da un ebreo.
Se d'altro scatto io fossi reo
poco t'importa ora.
Mi tradì chi il tuo amico ha tradotto
cioè Mussato, che ha scritto
ch'io son fiol d'Orco,
e se tu credi a simile patocchia
ogni carota può ben farti ciuco.
Il bello Adonide morì d'un porco
a far pianger' la Ciprigna bella.
Se feci giocattolo della ragione
direi che un toro da macello,
o dal zoologo, vale un piccione;
chi delle favole prende piacere e gioia
dirà che l'animale non fa la religione.
Un solo falso fa più al mondo boia
che i miei scatti: tutti! Ragna, ragnaccia!
Cavami quella belva dal suo buco
se non è questa:
Bestia umana ama la pastoia?
Se mai l'imperatore quel dono fece,
Bisanzio fu madre del trambusto,
lo fece senza forma e contra legge,
scindendo sé dal sé e dallo giusto;
né Cesare se stesso mise in schegge,
né Pietro pietra fu prima che Augusto
tutta la virtù ebbe e funzione.
Chi dà in legge è solo il possidente,
e'l caso ghibellin ben seppe il fiorentino".
E come onde che vengon da più di un trasmittente
sentii allora
le voci fuse e con frasi rotte
e molti uccelli fecer' contrappunto
nel mattino estivo,
fra il cui cigolar
in tono soave:
"Placidia fui, sotto l'oro dormivo".
Suonava come note di ben tesa corda.
"Malinconia di donna e la dolcezza"...
Ma io ebbi la pelle convulsa
fra le mie spalle,
e il mi polso preso
in sì ferreo laccio
che muover non potei
né mano né spalla, e ad afferrare il polso
io vidi un pugno
e non vidi avambraccio
che mi tenne come chiodo in muro;
mi crede insulso chi non ha fatto la prova.
E poi la voce che prima furiava,
mi disse feroce, dico feroce, ma non ostile
anzi era paterna quasi, come chi spiega
in mezzo di battaglia che deve fare un giovin' poco esperto:
"La voglia è antica, ma la mano è nuova.
Bada! Bada a me, prima ch'io torni
nella notte.
Dove il teschio canta
torneranno i fanti, torneranno le bandiere".
martedì 21 aprile 2009
da IL GIORNALE di oggi
Fallito il tentativo di offensiva istituzionale appresso ai santorismi vari, ci si poteva aspettare che una qualche vampata di polemica politica entrasse nelle opere di soccorso ai terremotati abruzzesi. E la polemica difatti è arrivata, entrando da una porticina solo apparentemente secondaria, e vedremo il perché. La Stampa di ieri offriva questo titolo: “No ai volontari in camicia nera”. Avvertenza per i lettori che non hanno letto di prima mano l’articolo: non si tratta di un pezzo sull’arruolamento nella campagna di Etiopia, nella divisione Littorio durante la guerra civile spagnola o nelle file dei cristiano-maroniti al tempo del conflitto libanese, ma di un reportage da Poggio Picenze, paese abruzzese dove i ragazzi di Casa Pound, centro sociale romano “di destra”, hanno piantato le tende per portare aiuti alla popolazione. La destra radicale che fa volontariato appare un controsenso agli occhi del cronista, direbbe il Blasco che «non sta bene non si fa», si esce troppo dal seminato degli stereotipi, e allora bisogna darsi da fare per trovare qualche indignato a puntino del fatto che «militanti in giacca nera» raccolgano e distribuiscano pannolini, cibo e vestiti. Così, fermandosi al titolo, per un brutto gioco ideologico, sembra quasi che se da destra si fa operosità sociale, gli aiuti si trasformano crudelmente nella loro degenerazione, il pane diventa pane nero, il caffè diventa ciofeca, i giocattoli manganelli, le tende alcove, il cioccolato un surrogato autarchico, i vestiti di cotone si fanno di ortica o canna, le razioni prendono la forma di tessere annonarie.Dal tono del pezzo pare che ci sia un paese in rivolta, o perlomeno a disagio, abbarbicato sullo steccato del conflitto politico per una presenza politicamente poco gradita. Ma sentite cosa dice il vicesindaco di Poggio Picenze, Angelo Taffo, esponente di una lista civica dove convivono centrodestra e centrosinistra, quando gli mostri il servizio: casca dalle nuvole per un racconto «totalmente falso». È tutto l’opposto, dice lui: «I paesani sono tutti entusiasti del lavoro di questi ragazzi, davvero encomiabile, non solo qui ma anche negli altri punti di smistamento che gestiscono. Loro stessi hanno raccolto una quantità enorme di aiuti, e tengono una precisa contabilità dei rifornimenti che aiuta a prevenire i pochi “furbi”. Io non sapevo neanche cosa fosse Casa Pound, sono arrivati e non hanno mai smesso di lavorare. Altro che criticarli, ci sarebbe da dargli la cittadinanza onoraria... ». Dunque, conviene chiudere qui una questione che odora di frusti retropensieri. È che la porticina della querelle paraideologica si spalanca su un'altra verità. I racconti politicamente unilaterali dell’Italia buona, giusta e tanto progressista, della sola sinistra giovanile e sindacale che si mobilita per la solidarietà, nello stile dell’epopea dell’alluvione fiorentina secondo Marco Tullio Giordana, in Abruzzo non funzionano più, perché tagliano fuori una parte della storia, perché dimenticano una parte preziosa della meglio gioventù che si è rimboccata le maniche tra i detriti, lavorando col sorriso a bocca chiusa, senza cercare la facile pubblicità delle sale stampa. Dei centri sociali “non conformi” romani, che hanno popolato la Capitale di punti di raccolta col tricolore, c’è anche il Foro 753. Ma al di là di qualche sigla eclatante da sfruttare, per titolo a effetto sghembo, c’è un fenomeno più vasto e più profondo, silenziosamente profondo, di associazionismo e volontariato che nasce a destra ma non porta insegne di partito o militanza. Questo ambiente umano si è mobilitato con una forza inedita che supera di molto per intensità le memorie passate dei camion partiti venti anni fa o poco meno alla volta di Timisoara o della Croazia. Si sono mossi il MoDaVi, Soccorso Sociale e altre associazioni. I volontari sono arrivati immediatamente da tutta Italia, a decine e poi a centinaia, al servizio di un’opera comune, in raccordo con la Protezione civile e la Croce Rossa, e sono stati capaci di raggiungere in un territorio così vasto anche le frazioni più sperdute e i nuclei familiari più isolati nel loro attaccamento alle radici di una vita. Luca Panariello di Perigeo, una solida esperienza nello tsunami thailandese, elenca 230mila litri d’acqua, 50 tonnellate di generi alimentari e prodotti per l’igiene raccolti davanti al Gran Teatro di Roma e portati fin su a San Demetrio, Paganica o Luccoli, cita il protocollo d’intesa siglato col sindaco piddino di Alba Adriatica per rifornire 6.000 sfollati. Emerge un’agilità decisionale che consente di fare un passo più in avanti rispetto alle grandi organizzazioni. Lo racconta, superando un comprensibile pudore, un giovane esponente del Pdl aquilano, Salvatore Santangelo. Punto di raccordo dei volontari sin dalla mattina della tragedia, ha perso la casa, non la passione civile: «Un evento traumatico come un terremoto spezza vita, distrugge esistenze. In compenso ho assistito a uno sprigionamento inconsueto di energie, alla mobilitazione di centinaia di giovanissimi che ci stanno dando una mano incredibile. Adesso sta a noi la sfida di ricostruire riunendo le nuove tecnologie e la nuova urbanistica, come chiede giustamente Berlusconi, con la dimensione identitaria del popolo abruzzese, l’unico tesoro che il terremoto ha lasciato intatto». In assenza di retoriche, agli antipodi delle solidarietà scagliate comodamente a migliaia di chilometri di distanza, questa storia andava raccontata. Solo per un attimo, però. Adesso lasciateli stare, non puntate teleobiettivi e microfoni, sono tornati a lavorare.
lunedì 20 aprile 2009
un bel riconoscimento
Con particolare gioia,consapevoli che domani ne avremo assai limitate tracce nella stampa,"rilanciamo" questa notizia battuta alle 19,04 da Adnkronos)-
"L'emergenza non ha colore. Casapound per noi e' un'istituzione e rimarra' a Poggio Picenze finche' ce ne sara' bisogno. Siamo fieri di questi ragazzi, e chi li critica se ne puo' andare a casa''. A parlare e' Mario Masci, l'assessore ai Lavori pubblici del piccolo centro alle porte dell'Aquila, dove l'associazione di Gianluca Iannone sta collaborando nella gestione del campo che ospita i circa 700 sfollati del Paese. ''Hanno dato una mano gradissima - sottolinea Masci all'ADNKRONOS - tanto e' vero che ho gia' promesso che finita l'emergenza a Iannone gli daremo la cittadinanza onoraria''.
"L'emergenza non ha colore. Casapound per noi e' un'istituzione e rimarra' a Poggio Picenze finche' ce ne sara' bisogno. Siamo fieri di questi ragazzi, e chi li critica se ne puo' andare a casa''. A parlare e' Mario Masci, l'assessore ai Lavori pubblici del piccolo centro alle porte dell'Aquila, dove l'associazione di Gianluca Iannone sta collaborando nella gestione del campo che ospita i circa 700 sfollati del Paese. ''Hanno dato una mano gradissima - sottolinea Masci all'ADNKRONOS - tanto e' vero che ho gia' promesso che finita l'emergenza a Iannone gli daremo la cittadinanza onoraria''.
La Stampa su Casa Pound
I primi giorni non se n’è accorto nessuno. C’era altro cui pensare: il paese sventrato dal terremoto e i morti.
Poi, però, l’angoscia ha concesso una tregua e a Poggio Picenze qualcuno ha puntato gli occhi sulle bandiere alzate proprio accanto al campo della Protezione Civile. Sui ragazzi vestiti di nero, con il cappuccio alzato e la scritta «me ne frego» tatuata sul collo. Così tra la gente più d’uno ha cominciato a protestare: «Io proprio non voglio farmi aiutare da un gruppo di fascisti», sospira Maria puntando il dito verso lo striscione nero che fa bella mostra vicino alla chiesa diroccata. Poco distante i ragazzi in mimetica e giacconi neri non sembrano curarsi dell’attenzione. Loro sono i membri dell’associazione Casa Pound.
Fascisti? «Mi riconosco nella dottrina fascista che ritengo tuttora validissima, ma non nel periodo storico del fascismo che è finito nel 1945. Noi siamo i fascisti del Terzo Millennio, non ci riconosciamo nella destra di oggi, siamo un movimento di estremo centro alto», spiega Massimo Carletti, responsabile del campo. Il punto, però, è anche un altro: il comune ha affidato a Casa Pound la gestione degli aiuti. Così camminando tra le tende si assiste a scene che proprio non ti immagineresti nell’Abruzzo del terremoto: sguardi storti, battute.
Proprio nel campo dove Berlusconi e il ministro Gelmini sono venuti per l’inaugurazione della prima scuola riaperta nelle grandi tende. «Noi siamo venuti per aiutare, abbiamo portato tonnellate di roba. Appena hanno saputo del terremoto, i nostri iscritti si sono mobilitati. Siamo venuti da tutta Italia», racconta Carletti e indica le trenta tende piantate nel prato. E’ mattino, una giornata fredda, con l’umidità che ti entra nelle ossa, e i ragazzi si preparano per un’altra giornata.
Passerebbero quasi inosservati se non fosse per le mimetiche, le giacche nere, le felpe con i teschi.
Carletti accetta di fare la guida al cronista. Cammina e intanto spiega: «Le costruzioni del Ventennio non sono crollate». Il magazzino gestito da Casa Pound è una delle poche costruzioni che hanno retto la botta del terremoto, nel grande spazio di dieci metri per trenta è accumulato di tutto: cibo, pannolini, vestiti, giochi per bambini. I militanti in giacca nera catalogano gli oggetti, li distribuiscono, parlano con gli abitanti.
I modi sono gentili, si respira entusiasmo. Ma rispetto alle altre tendopoli c’è una tensione impalpabile. Quando passa un volontario della Protezione Civile ecco che viene fuori. «Scusa, tu chi sei?», gli chiede un ragazzo. E l’altro di rimando: «Mi chiamo Luigi, e tu chi sei?». Finisce lì, ma Carletti racconta: «Succede continuamente». Poi c’è la gente di Poggio Picenze. Molti non fanno caso a quel nero dominante, altri, però, storcono il naso: «Ma perché il Comune ha affidato la gestione dell’emergenza a un gruppo di estremisti? Siamo nell’Abruzzo di Silone e della Resistenza… è uno schiaffo alla memoria», sbotta Attilio.
Il sindaco, Nicola Menna, professore di scuola arruolato dal centrodestra, scrolla le spalle: «A me questa storia dell’associazione fascista non interessa, nel campo non fanno politica». Ma le proteste di volontari e abitanti? «Noi adesso abbiamo bisogno di aiuto e quei ragazzi si danno da fare». Com’è che il Comune gli ha affidato la gestione degli aiuti? «Me li ha presentati un mio ex alunno». E qualcuno fa notare che a San Biagio di Tempera sono arrivati i ragazzi del centro sociale Spartacus. Insomma, si dice, c’è anche la sinistra. Al campo ufficiale, quello della Protezione Civile, continuano il loro lavoro nonostante la notizia comparsa sul Messaggero. Pasquale Landinetti, della Regione Campania, mostra questa tendopoli che è un esempio di solidarietà italiana: efficienza svizzera mischiata a calore campano. Ieri nella tenda-chiesa sono arrivate le reliquie di San Felice Martire e la campana del campanile pericolante. «Noi a Casa Pound non diamo nulla, per noi non sono riconosciuti. Diamo al Comune il materiale in eccedenza rispetto alle esigenze del campo, loro ne fanno quello che credono». E’ l’ora della messa nella chiesa che sa di gomma come un canotto. Sulle sedie si dispongono anziani del paese vestiti di scuro, uomini della Protezione Civile con la divisa gialla e un ragazzone con la testa rasata e la giacca nera con il distintivo: «Invincibili».
Poi, però, l’angoscia ha concesso una tregua e a Poggio Picenze qualcuno ha puntato gli occhi sulle bandiere alzate proprio accanto al campo della Protezione Civile. Sui ragazzi vestiti di nero, con il cappuccio alzato e la scritta «me ne frego» tatuata sul collo. Così tra la gente più d’uno ha cominciato a protestare: «Io proprio non voglio farmi aiutare da un gruppo di fascisti», sospira Maria puntando il dito verso lo striscione nero che fa bella mostra vicino alla chiesa diroccata. Poco distante i ragazzi in mimetica e giacconi neri non sembrano curarsi dell’attenzione. Loro sono i membri dell’associazione Casa Pound.
Fascisti? «Mi riconosco nella dottrina fascista che ritengo tuttora validissima, ma non nel periodo storico del fascismo che è finito nel 1945. Noi siamo i fascisti del Terzo Millennio, non ci riconosciamo nella destra di oggi, siamo un movimento di estremo centro alto», spiega Massimo Carletti, responsabile del campo. Il punto, però, è anche un altro: il comune ha affidato a Casa Pound la gestione degli aiuti. Così camminando tra le tende si assiste a scene che proprio non ti immagineresti nell’Abruzzo del terremoto: sguardi storti, battute.
Proprio nel campo dove Berlusconi e il ministro Gelmini sono venuti per l’inaugurazione della prima scuola riaperta nelle grandi tende. «Noi siamo venuti per aiutare, abbiamo portato tonnellate di roba. Appena hanno saputo del terremoto, i nostri iscritti si sono mobilitati. Siamo venuti da tutta Italia», racconta Carletti e indica le trenta tende piantate nel prato. E’ mattino, una giornata fredda, con l’umidità che ti entra nelle ossa, e i ragazzi si preparano per un’altra giornata.
Passerebbero quasi inosservati se non fosse per le mimetiche, le giacche nere, le felpe con i teschi.
Carletti accetta di fare la guida al cronista. Cammina e intanto spiega: «Le costruzioni del Ventennio non sono crollate». Il magazzino gestito da Casa Pound è una delle poche costruzioni che hanno retto la botta del terremoto, nel grande spazio di dieci metri per trenta è accumulato di tutto: cibo, pannolini, vestiti, giochi per bambini. I militanti in giacca nera catalogano gli oggetti, li distribuiscono, parlano con gli abitanti.
I modi sono gentili, si respira entusiasmo. Ma rispetto alle altre tendopoli c’è una tensione impalpabile. Quando passa un volontario della Protezione Civile ecco che viene fuori. «Scusa, tu chi sei?», gli chiede un ragazzo. E l’altro di rimando: «Mi chiamo Luigi, e tu chi sei?». Finisce lì, ma Carletti racconta: «Succede continuamente». Poi c’è la gente di Poggio Picenze. Molti non fanno caso a quel nero dominante, altri, però, storcono il naso: «Ma perché il Comune ha affidato la gestione dell’emergenza a un gruppo di estremisti? Siamo nell’Abruzzo di Silone e della Resistenza… è uno schiaffo alla memoria», sbotta Attilio.
Il sindaco, Nicola Menna, professore di scuola arruolato dal centrodestra, scrolla le spalle: «A me questa storia dell’associazione fascista non interessa, nel campo non fanno politica». Ma le proteste di volontari e abitanti? «Noi adesso abbiamo bisogno di aiuto e quei ragazzi si danno da fare». Com’è che il Comune gli ha affidato la gestione degli aiuti? «Me li ha presentati un mio ex alunno». E qualcuno fa notare che a San Biagio di Tempera sono arrivati i ragazzi del centro sociale Spartacus. Insomma, si dice, c’è anche la sinistra. Al campo ufficiale, quello della Protezione Civile, continuano il loro lavoro nonostante la notizia comparsa sul Messaggero. Pasquale Landinetti, della Regione Campania, mostra questa tendopoli che è un esempio di solidarietà italiana: efficienza svizzera mischiata a calore campano. Ieri nella tenda-chiesa sono arrivate le reliquie di San Felice Martire e la campana del campanile pericolante. «Noi a Casa Pound non diamo nulla, per noi non sono riconosciuti. Diamo al Comune il materiale in eccedenza rispetto alle esigenze del campo, loro ne fanno quello che credono». E’ l’ora della messa nella chiesa che sa di gomma come un canotto. Sulle sedie si dispongono anziani del paese vestiti di scuro, uomini della Protezione Civile con la divisa gialla e un ragazzone con la testa rasata e la giacca nera con il distintivo: «Invincibili».
sabato 18 aprile 2009
"Fratelli d'Italia"
Nel link un articolo di Gabriele Adinolfi su quanto sta avvenendo intorno alla presenza a L'Aquila e alle necessità e alle inizietive
http://www.noreporter.org/index.php?option=com_content&view=article&id=12325:a-laquila-uno-scontro-di-civilta&catid=14:note&Itemid=18
Oltre che ricordare l'impegno di Casa Pound ci fa piacere proporre questa riflessione di Adinolfi ch ci pare porre il problema centrale
Il problema, ora, è di passare al più presto dall'assistenzialismo obbligato, che gli abruzzesi, gente fiera, vivono con un certo imbarazzo, alla ripartenza assoluta e autonoma dell'aquilano. Per questo si deve cambiare registro. E' necessario, per esempio, che anziché continuare a stoccare latte Parmalat o Granarolo, si faccia prioritariamente ricorso alle centrali abruzzesi del latte, che oggi sono paralizzate perché i loro luoghi di distribuzione sono stati occupati da ditte di fuori. Che s'inizi a ridurre il personale della Protezione Civile utilizzato per compiti di contorno, come i servizi ai tavoli che assorbono centinaia di persone di fuori, favorendo invece l'inquadramento attivo della popolazione locale che mal sopporta, giustamente, di fare la parte dell'assistita. Si deve, progressivamente, ribaltare il quadro. La cucina, la pulizia, i servizi, devono diventare autonomi e autoctoni. Non è cosa di poco conto; si scontrano, difatti, tre concezioni del sociale che sono a loro volta rivelatrici di autentici conflitti di civiltà. L'assistenzialismo da una parte (che è la concezione parastatal-parrocchiana), il conflittualismo da un'altra (i deliri alla Santoro) e infine la socialità pura, attiva, organica, integrale, selettiva e comunitaria.
In quest'ottica funziona il volontarismo puro offerto da Casa Pound, dal Soccorso Sociale e da tutti i volontari delle squadre di soccorso tricolore, in buona misura composte da terremotati. La gente lo capisce e non si limita quindi ad accogliere pasti, vestiti e sanitari dai due punti gestiti dai “Fratelli d'Italia” (Poggio Picenze e la zona Pile de L'Aquila). Se il nostro impegno si limitasse a questo sarebbe comunque significativo, visto che negli ultimi due giorni abbiamo rifornito oltre mille persone, ma non sufficiente. E' l'offrire il concetto di una speranza che fa affidamento sulle proprie energie oltre che sulla solidarietà militante, l'opera più importante che si sta compiendo e che la gente percepisce appieno......
Ieri sera, causalmente si è improvvisata una grigliata tra i volontari presenti e si è cotta carne per quarantotto persone. Si è verificato un via vai di gente del luogo che chiedeva magliette con la tartaruga, non per coprirsi ma per sentirsi in comunità, è stata richiesta una bandiera di Casa Pound firmata da tutti i volontari, da affigere sulla parete della casa che verrà! Una signora, sfollata, ha improvvisato una zuppa per cinquanta persone ed è venuta a portarcela, per partecipare.
Ecco la parola magica, quella su cui sin dovrà al più presto edificare la rinascita della città fortemente voluta da Federico II e che, miracolosamente(?) ha visto resistere indenni al terremoto gli edifici del Ventennio.
Non siamo qui solo per dare, che già è importante, ma per contribuire all'autonomia della polis e alla ripresa della civiltà. Questo non coincide con l'assistenzialismo che ingenera passività e lede la dignità e men che meno con le polemiche partigiane e con la filosofia della discordia infinita che produce odi e separazioni. La logica è semplice e chiara: una nazione, un popolo. Questo non significa affatto la catena di Sant'Antonio fatta di burocrati e questuanti e neppure l'eterno io contro di te. Questa logica, semplice e chiara, è quella che vuole la gente di abruzzo e che noi, rivolo verso un fiume in piena, intendiamo continuare a contribuire ad imporre con l'esempio, l'organizzazione e la normalità.
http://www.noreporter.org/index.php?option=com_content&view=article&id=12325:a-laquila-uno-scontro-di-civilta&catid=14:note&Itemid=18
Oltre che ricordare l'impegno di Casa Pound ci fa piacere proporre questa riflessione di Adinolfi ch ci pare porre il problema centrale
Il problema, ora, è di passare al più presto dall'assistenzialismo obbligato, che gli abruzzesi, gente fiera, vivono con un certo imbarazzo, alla ripartenza assoluta e autonoma dell'aquilano. Per questo si deve cambiare registro. E' necessario, per esempio, che anziché continuare a stoccare latte Parmalat o Granarolo, si faccia prioritariamente ricorso alle centrali abruzzesi del latte, che oggi sono paralizzate perché i loro luoghi di distribuzione sono stati occupati da ditte di fuori. Che s'inizi a ridurre il personale della Protezione Civile utilizzato per compiti di contorno, come i servizi ai tavoli che assorbono centinaia di persone di fuori, favorendo invece l'inquadramento attivo della popolazione locale che mal sopporta, giustamente, di fare la parte dell'assistita. Si deve, progressivamente, ribaltare il quadro. La cucina, la pulizia, i servizi, devono diventare autonomi e autoctoni. Non è cosa di poco conto; si scontrano, difatti, tre concezioni del sociale che sono a loro volta rivelatrici di autentici conflitti di civiltà. L'assistenzialismo da una parte (che è la concezione parastatal-parrocchiana), il conflittualismo da un'altra (i deliri alla Santoro) e infine la socialità pura, attiva, organica, integrale, selettiva e comunitaria.
In quest'ottica funziona il volontarismo puro offerto da Casa Pound, dal Soccorso Sociale e da tutti i volontari delle squadre di soccorso tricolore, in buona misura composte da terremotati. La gente lo capisce e non si limita quindi ad accogliere pasti, vestiti e sanitari dai due punti gestiti dai “Fratelli d'Italia” (Poggio Picenze e la zona Pile de L'Aquila). Se il nostro impegno si limitasse a questo sarebbe comunque significativo, visto che negli ultimi due giorni abbiamo rifornito oltre mille persone, ma non sufficiente. E' l'offrire il concetto di una speranza che fa affidamento sulle proprie energie oltre che sulla solidarietà militante, l'opera più importante che si sta compiendo e che la gente percepisce appieno......
Ieri sera, causalmente si è improvvisata una grigliata tra i volontari presenti e si è cotta carne per quarantotto persone. Si è verificato un via vai di gente del luogo che chiedeva magliette con la tartaruga, non per coprirsi ma per sentirsi in comunità, è stata richiesta una bandiera di Casa Pound firmata da tutti i volontari, da affigere sulla parete della casa che verrà! Una signora, sfollata, ha improvvisato una zuppa per cinquanta persone ed è venuta a portarcela, per partecipare.
Ecco la parola magica, quella su cui sin dovrà al più presto edificare la rinascita della città fortemente voluta da Federico II e che, miracolosamente(?) ha visto resistere indenni al terremoto gli edifici del Ventennio.
Non siamo qui solo per dare, che già è importante, ma per contribuire all'autonomia della polis e alla ripresa della civiltà. Questo non coincide con l'assistenzialismo che ingenera passività e lede la dignità e men che meno con le polemiche partigiane e con la filosofia della discordia infinita che produce odi e separazioni. La logica è semplice e chiara: una nazione, un popolo. Questo non significa affatto la catena di Sant'Antonio fatta di burocrati e questuanti e neppure l'eterno io contro di te. Questa logica, semplice e chiara, è quella che vuole la gente di abruzzo e che noi, rivolo verso un fiume in piena, intendiamo continuare a contribuire ad imporre con l'esempio, l'organizzazione e la normalità.
GIANO ACCAME
Ci fa piacere proporre una serie di ricordi:
da quellodi Renato Farina
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=17228
a quello dei giornalisti di "Lettera 22"
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?art_id=701848
a quello sincero, commosso e profondo di Stenio Solinas
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=344399
e quello del direttore di Rinascita ugo Gaudenzi
http://www.rinascita.info/cc/RQ_Editoriale/EkFAAyAVAFWPPoFxtM.shtml
da quellodi Renato Farina
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=17228
a quello dei giornalisti di "Lettera 22"
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?art_id=701848
a quello sincero, commosso e profondo di Stenio Solinas
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=344399
e quello del direttore di Rinascita ugo Gaudenzi
http://www.rinascita.info/cc/RQ_Editoriale/EkFAAyAVAFWPPoFxtM.shtml
lunedì 13 aprile 2009
Fabbriche recuperate
Nel numero di sabato scrorso del quotidiano RINASCITA è pubblicato un interessante articolo di Alessia Lai su una nuova esperienza di fabbrica recuperata.
I lavoratori della impresa di dolciumi Arrufar a fronte della chiusura della stessa e dell'assenza degli ultimi dieci anni di contributi previdenziali hanno provveduto a occupare lo stabilimento e a proseguire la produzione in regime di autogestione unendosi a un vasto movimento sociale iniziatosi nel 2001.
L'interesse di questi esempi di socializzazione è tale da imporre un costante studio e,per quanto possibile,una diffusione della loro conoscenza.
I lavoratori della impresa di dolciumi Arrufar a fronte della chiusura della stessa e dell'assenza degli ultimi dieci anni di contributi previdenziali hanno provveduto a occupare lo stabilimento e a proseguire la produzione in regime di autogestione unendosi a un vasto movimento sociale iniziatosi nel 2001.
L'interesse di questi esempi di socializzazione è tale da imporre un costante studio e,per quanto possibile,una diffusione della loro conoscenza.
venerdì 10 aprile 2009
Comunicato Casa Pound:Abruzzo
Avamposto di Casa Pound all'Aquila. Coordinamento con L'Aquila rugby e il Mosaico Romano. Ora si può, anzi si deve, iniziare a partire
Casa Pound, guidata da Gianluca Iannone è da stamattina operativa nella cinta de L'Aquila.
Dopo ordini e contrordini i ragazzi sono stati impegnati in tutte le operazioni, compresi gli scavi.
Il coordinamento è assicurato con la Protezione Civile e con gli aquilani legati alla Regione e al Rugby.
Nelle prossime ore prenderà forma un'organizzazione più capillare che passerà per questi due snodi tramite l'operato sinergico del Mosaico Romano e di noreporter.
Servono subito:- prodotti igienici (sapone, detersivo, disinfettanti, pannolini, pannoloni, assorbenti e anche mutande)- medici e personale paramedico
Servono con continuità (meglio però dalla prossima settimana che non da subito) volontari che si alternino
Per offrirsi volontari potete scrivere a ga@gabrieleadinolfi.it
Sia chiaro che non stiamo salvando noi l'Abruzzo; saremo soltanto - per fortuna! - un rivolo nel mare. Ma questo ci renderà felici. Fratelli d'Italia; una nazione un popolo!
Casa Pound, guidata da Gianluca Iannone è da stamattina operativa nella cinta de L'Aquila.
Dopo ordini e contrordini i ragazzi sono stati impegnati in tutte le operazioni, compresi gli scavi.
Il coordinamento è assicurato con la Protezione Civile e con gli aquilani legati alla Regione e al Rugby.
Nelle prossime ore prenderà forma un'organizzazione più capillare che passerà per questi due snodi tramite l'operato sinergico del Mosaico Romano e di noreporter.
Servono subito:- prodotti igienici (sapone, detersivo, disinfettanti, pannolini, pannoloni, assorbenti e anche mutande)- medici e personale paramedico
Servono con continuità (meglio però dalla prossima settimana che non da subito) volontari che si alternino
Per offrirsi volontari potete scrivere a ga@gabrieleadinolfi.it
Sia chiaro che non stiamo salvando noi l'Abruzzo; saremo soltanto - per fortuna! - un rivolo nel mare. Ma questo ci renderà felici. Fratelli d'Italia; una nazione un popolo!
giovedì 9 aprile 2009
Oltre l'impegno per l'Abruzzo...oggi
Giovedi 9 aprile ore 21 - Casa Pound - Via Napoleone III 8
"Il giornalismo come coraggio"intervengono:
Toni Capuozzo
Fausto Biloslavo(giornalisti di guerra)
Introduce Adriano Scianca, responsabile culturale Casa Pound Italia
"Il giornalismo come coraggio"intervengono:
Toni Capuozzo
Fausto Biloslavo(giornalisti di guerra)
Introduce Adriano Scianca, responsabile culturale Casa Pound Italia
Aggiornamento struttura aiuti per Abruzzo
CASA POUND ITALIA
ROMA - Via Napoleone III,
ROMA - Via degli Orti di Malabarba, 15
LATINA - Via XVIII Dicembre, 33
SULMONA - Corso Ovidio, 208
TORINO - Via Cellini, 22
MILANO - Via San Brunone, 17
MILANO - Via Pareto, 14
DOMODOSSOLA - Piazza della convenzione, 5
VERONA - Via Poloni, 30
BOLZANO - Bar8 via Dalmazia 16
BOLOGNA - Piazza di Porta Castiglione, 12
PISTOIA - Via Porta San Marco, 161
LUCCA - via Michele Rosi (già via dei Borghi) 63
RIETI - Via Garibaldi, 139
ASCOLI PICENO - via della Fortezza, 7
AREZZO - Via San Lorentino, 51
FERENTINO(FR) - Via Guglielmo Marconi, 100
SORA(FR) - via lucio Gallio 9
ARNARA - via dei fossi snc
SALERNO - Via Galdo, 4
AVELLINO - Via Circumvallazione, 55
AVELLINO - Piazza Trecine, 5
BARI - Via Garruba, 22
PALERMO - Via Tevere, 4
SASSARI - Via degli astronauti, 3
SIENA - Via Stalloreggi, 87
LAMEZIA TERME - piazza s.giovanni 17
TODI - Portici Comunali Piazza del Popolo
PARMA - Via Iacchia, 33R
EGGIO EMILIA - Via Montefiorino, 10/h
INOLTRE
ROMA: Perigeo Lazio e GN Comunication, in collaborazione con Radio Incontro. INFO: Luca Panariello – 338.6261463
Foro 753, via Beverino 49 (18- 21,30)
OSTIA: CMO. GANDALF - Via delle Baleari, 189
FIUMICINO: 2punto11, via G.B Grassi 7
GUIDONIA: Libreria Trevvvù, via Visintini 40
CAVE: Base Militante Cave + Casa Pound via Morino 1 presso la pinetina comunale. per INFO 3809012479 3396326305
RIETI: Sala machine Teseo Tesei direttamente al Comune
CROTONE: Terra Di Mezzo, via Teano
Contatti organizzativi:
Casa Pound Italia:
massimo.carletti@gmail.com
e inoltre:
ga@gabrieleadinolfi.it
'
ROMA - Via Napoleone III,
ROMA - Via degli Orti di Malabarba, 15
LATINA - Via XVIII Dicembre, 33
SULMONA - Corso Ovidio, 208
TORINO - Via Cellini, 22
MILANO - Via San Brunone, 17
MILANO - Via Pareto, 14
DOMODOSSOLA - Piazza della convenzione, 5
VERONA - Via Poloni, 30
BOLZANO - Bar8 via Dalmazia 16
BOLOGNA - Piazza di Porta Castiglione, 12
PISTOIA - Via Porta San Marco, 161
LUCCA - via Michele Rosi (già via dei Borghi) 63
RIETI - Via Garibaldi, 139
ASCOLI PICENO - via della Fortezza, 7
AREZZO - Via San Lorentino, 51
FERENTINO(FR) - Via Guglielmo Marconi, 100
SORA(FR) - via lucio Gallio 9
ARNARA - via dei fossi snc
SALERNO - Via Galdo, 4
AVELLINO - Via Circumvallazione, 55
AVELLINO - Piazza Trecine, 5
BARI - Via Garruba, 22
PALERMO - Via Tevere, 4
SASSARI - Via degli astronauti, 3
SIENA - Via Stalloreggi, 87
LAMEZIA TERME - piazza s.giovanni 17
TODI - Portici Comunali Piazza del Popolo
PARMA - Via Iacchia, 33R
EGGIO EMILIA - Via Montefiorino, 10/h
INOLTRE
ROMA: Perigeo Lazio e GN Comunication, in collaborazione con Radio Incontro. INFO: Luca Panariello – 338.6261463
Foro 753, via Beverino 49 (18- 21,30)
OSTIA: CMO. GANDALF - Via delle Baleari, 189
FIUMICINO: 2punto11, via G.B Grassi 7
GUIDONIA: Libreria Trevvvù, via Visintini 40
CAVE: Base Militante Cave + Casa Pound via Morino 1 presso la pinetina comunale. per INFO 3809012479 3396326305
RIETI: Sala machine Teseo Tesei direttamente al Comune
CROTONE: Terra Di Mezzo, via Teano
Contatti organizzativi:
Casa Pound Italia:
massimo.carletti@gmail.com
e inoltre:
ga@gabrieleadinolfi.it
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martedì 7 aprile 2009
De Benoist oggi su IL GIORNALE
L’Europa ha bisogno di una Russia forte
di Alain de Benoist
Mentre ero a Mosca per un corso all'Università Lomonosov, vari docenti mi dicevano di essere stati colpiti dal fatto che Berlusconi fosse più o meno l'unico capo di governo dell'Unione europea simpatizzante con la Russia nella guerra nell'Ossezia del Sud. C'è un’eccezione italiana nello sguardo europeo sulla Russia?La Russia è sempre stata vittima di stereotipi. Il marchese de Custine, Hegel, Marx e soprattutto Engels, che nel razzismo antirusso precorreva Hitler, l'hanno costantemente rappresentata come Paese «barbaro» e «prigione di popoli». Eppure la sua potenza era temuta. Nel 1918, il sesto dei quattordici punti del presidente Wilson diceva ingenuamente: «La Russia è troppo grande e troppo omogenea, va ridotta all'altipiano della Russia centrale (...). Così avremo davanti un foglio bianco».In epoca comunista, la divisione fra emigrazione e «dissidenti» di qui, «bolscevichi» e «soviet» di là, quasi inibiva lo studio serio della complessità delle tendenze. Come aveva capito Ernst Niekisch, «la storia del Partito comunista russo si può leggere come eterna lotta fra la tendenza sovranista-nazionale e quella cosmopolita» (Natalia Narochnitskaia). Nel 1945 la fine della Seconda guerra mondiale, decisa a Stalingrado e ancor più a Kursk, segnò la vittoria di Stalin e della Russia. Sebbene sia stata anche quella del comunismo, essa fu innanzitutto vista come vittoria russa dall'immensa maggioranza dei russi stessi. E anche per questo il crollo del sistema sovietico ha potuto esser considerato una pagina nera della storia nazionale della Russia anche da tante vittime della repressione di regime.Dietro la retorica dominante della Guerra fredda ("mondo libero" contro "blocco orientale"), spesso la denuncia del comunismo camuffava l'ostilità per la Russia, preesistente alla rivoluzione bolscevica e sopravvissuta alla disintegrazione dell'Urss. Per Natalia Narochnitskaia combattere il sovietismo era la finta: la posta in gioco era lo «spazio nella successione geopolitica dello Stato storico russo». L'hanno dimostrato i fatti dopo la caduta del Muro di Berlino.Nel 1991, Gorbaciov aveva accettato l'integrazione nella Nato della Germania riunificata in cambio della promessa di Washington che l'Alleanza atlantica non si sarebbe estesa oltre le frontiere tedesche. Promessa infranta: la «nuova Europa» (centrale e orientale) è presto divenuta perno d'interessi americani. A dissipare le ultime illusioni sono stati il rifiuto della Nato della zona denuclearizzata dall'Artico al Mar Nero proposta dalla Russia, la denuncia unilaterale statunitense del trattato Abm sui missili balistici, i bombardamenti sulla Serbia della Nato nel 1999, l'appoggio dato dal 2003 alle «rivoluzioni colorate» nell'Europa orientale, lo spiegamento di sistemi antimissile americani in Polonia e nella Repubblica Ceca, l'appoggio dal 2005 alla candidatura della Georgia, dei Paesi baltici e dell'Ucraina all'ingresso nella Nato, il sostegno alla proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo, poi al presidente georgiano Saakashvili nell'invasione dell'Ossezia del Sud da parte delle sue truppe. Per gli americani lo scopo è sempre lo stesso: evincere la Russia dal Baltico, dal Caspio e dal Mar Nero, negarle accesso all'antico spazio mediterraneo e bizantino, spingere sempre più a est i confini della Nato, controllare il Caucaso e dell'Asia centrale e delle risorse energetiche che passano di lì.Ma il Cremlino ha reagito. Dopo gli anni neri (1991-1998) del periodo Eltsin, la Russia pare orientata risolutamente verso un mondo multipolare. L'intervento di Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza (Monaco, febbraio 2008) ha segnato la svolta. Un'altra è stata la fermezza davanti all'aggressione georgiana, la scorsa estate.Da allora gli Occidentali agitano lo spettro del ritorno alla guerra fredda. Indignati, ripetono la frase di Putin: «La fine dell'Unione Sovietica è la maggiore catastrofe geopolitica del XX secolo». Ma non la citano mai tutta: «La fine dell'Unione Sovietica è la maggiore catastrofe geopolitica del XX secolo. Non ha cuore chi se ne infischia. Non ha cervello chi vuole ricostituirla nello stesso modo di prima» (Komsomolskaia Pravda, 2 febbraio 2000). In realtà non si torna alla guerra fredda (basata su un clima ideologico estinto), tornano linee di forza storiche e geopolitiche tradizionali.Tentare di contenere, rimuovere o smembrare l'Impero russo è sempre stata la tentazione, spesso messa in pratica, delle potenze occidentali. Ma allora erano le potenze europee, mentre oggi sarebbero soprattutto gli Stati Uniti a giovarsi di sconfitte strategiche russe.Verso l'Europa spesso i russi provano un senso d'amarezza e umiliazione. Intendono tornare a essere rispettati e considerati. Hanno infatti il diritto d'attendersi dagli europei una politica chiara, non una relazione mediocre appiattita sugli americani. Mentre l'Europa ha bisogno d'una Russia forte, restituita allo status tradizionale di grande potenza e fattore strutturale nei rapporti internazionali, per salvaguardare l'indipendenza e sfuggire a ogni forma di tutela e ingerenza esterna. Il suo interesse politico e geopolitico è diventare il partner più stretto possibile di una Russia della quale è già complementare economicamente e tecnologicamente. Che ora l'Unione Europea paia andare in senso opposto non toglie nulla all'urgenza d'un'intesa neo-bismarckiana con la Russia. L'Europa si svincoli dall'Occidente e guardi a Est. Se declina la Russia, declina l'Europa.(Traduzione di Maurizio Cabona )
di Alain de Benoist
Mentre ero a Mosca per un corso all'Università Lomonosov, vari docenti mi dicevano di essere stati colpiti dal fatto che Berlusconi fosse più o meno l'unico capo di governo dell'Unione europea simpatizzante con la Russia nella guerra nell'Ossezia del Sud. C'è un’eccezione italiana nello sguardo europeo sulla Russia?La Russia è sempre stata vittima di stereotipi. Il marchese de Custine, Hegel, Marx e soprattutto Engels, che nel razzismo antirusso precorreva Hitler, l'hanno costantemente rappresentata come Paese «barbaro» e «prigione di popoli». Eppure la sua potenza era temuta. Nel 1918, il sesto dei quattordici punti del presidente Wilson diceva ingenuamente: «La Russia è troppo grande e troppo omogenea, va ridotta all'altipiano della Russia centrale (...). Così avremo davanti un foglio bianco».In epoca comunista, la divisione fra emigrazione e «dissidenti» di qui, «bolscevichi» e «soviet» di là, quasi inibiva lo studio serio della complessità delle tendenze. Come aveva capito Ernst Niekisch, «la storia del Partito comunista russo si può leggere come eterna lotta fra la tendenza sovranista-nazionale e quella cosmopolita» (Natalia Narochnitskaia). Nel 1945 la fine della Seconda guerra mondiale, decisa a Stalingrado e ancor più a Kursk, segnò la vittoria di Stalin e della Russia. Sebbene sia stata anche quella del comunismo, essa fu innanzitutto vista come vittoria russa dall'immensa maggioranza dei russi stessi. E anche per questo il crollo del sistema sovietico ha potuto esser considerato una pagina nera della storia nazionale della Russia anche da tante vittime della repressione di regime.Dietro la retorica dominante della Guerra fredda ("mondo libero" contro "blocco orientale"), spesso la denuncia del comunismo camuffava l'ostilità per la Russia, preesistente alla rivoluzione bolscevica e sopravvissuta alla disintegrazione dell'Urss. Per Natalia Narochnitskaia combattere il sovietismo era la finta: la posta in gioco era lo «spazio nella successione geopolitica dello Stato storico russo». L'hanno dimostrato i fatti dopo la caduta del Muro di Berlino.Nel 1991, Gorbaciov aveva accettato l'integrazione nella Nato della Germania riunificata in cambio della promessa di Washington che l'Alleanza atlantica non si sarebbe estesa oltre le frontiere tedesche. Promessa infranta: la «nuova Europa» (centrale e orientale) è presto divenuta perno d'interessi americani. A dissipare le ultime illusioni sono stati il rifiuto della Nato della zona denuclearizzata dall'Artico al Mar Nero proposta dalla Russia, la denuncia unilaterale statunitense del trattato Abm sui missili balistici, i bombardamenti sulla Serbia della Nato nel 1999, l'appoggio dato dal 2003 alle «rivoluzioni colorate» nell'Europa orientale, lo spiegamento di sistemi antimissile americani in Polonia e nella Repubblica Ceca, l'appoggio dal 2005 alla candidatura della Georgia, dei Paesi baltici e dell'Ucraina all'ingresso nella Nato, il sostegno alla proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo, poi al presidente georgiano Saakashvili nell'invasione dell'Ossezia del Sud da parte delle sue truppe. Per gli americani lo scopo è sempre lo stesso: evincere la Russia dal Baltico, dal Caspio e dal Mar Nero, negarle accesso all'antico spazio mediterraneo e bizantino, spingere sempre più a est i confini della Nato, controllare il Caucaso e dell'Asia centrale e delle risorse energetiche che passano di lì.Ma il Cremlino ha reagito. Dopo gli anni neri (1991-1998) del periodo Eltsin, la Russia pare orientata risolutamente verso un mondo multipolare. L'intervento di Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza (Monaco, febbraio 2008) ha segnato la svolta. Un'altra è stata la fermezza davanti all'aggressione georgiana, la scorsa estate.Da allora gli Occidentali agitano lo spettro del ritorno alla guerra fredda. Indignati, ripetono la frase di Putin: «La fine dell'Unione Sovietica è la maggiore catastrofe geopolitica del XX secolo». Ma non la citano mai tutta: «La fine dell'Unione Sovietica è la maggiore catastrofe geopolitica del XX secolo. Non ha cuore chi se ne infischia. Non ha cervello chi vuole ricostituirla nello stesso modo di prima» (Komsomolskaia Pravda, 2 febbraio 2000). In realtà non si torna alla guerra fredda (basata su un clima ideologico estinto), tornano linee di forza storiche e geopolitiche tradizionali.Tentare di contenere, rimuovere o smembrare l'Impero russo è sempre stata la tentazione, spesso messa in pratica, delle potenze occidentali. Ma allora erano le potenze europee, mentre oggi sarebbero soprattutto gli Stati Uniti a giovarsi di sconfitte strategiche russe.Verso l'Europa spesso i russi provano un senso d'amarezza e umiliazione. Intendono tornare a essere rispettati e considerati. Hanno infatti il diritto d'attendersi dagli europei una politica chiara, non una relazione mediocre appiattita sugli americani. Mentre l'Europa ha bisogno d'una Russia forte, restituita allo status tradizionale di grande potenza e fattore strutturale nei rapporti internazionali, per salvaguardare l'indipendenza e sfuggire a ogni forma di tutela e ingerenza esterna. Il suo interesse politico e geopolitico è diventare il partner più stretto possibile di una Russia della quale è già complementare economicamente e tecnologicamente. Che ora l'Unione Europea paia andare in senso opposto non toglie nulla all'urgenza d'un'intesa neo-bismarckiana con la Russia. L'Europa si svincoli dall'Occidente e guardi a Est. Se declina la Russia, declina l'Europa.(Traduzione di Maurizio Cabona )
Squadre soccorso per l'Abruzzo
Non è possibile partire senza essere accettati dalla Protezione civile o affini. Giovedì da Roma partono le squadre di soccorso organizzate dal modavi (www.modavi.it) Per partecipare è necessario riempire il modulo.
Se si vuole partire con gruppi che si stanno coordinando autonomamente con il Modavi rivolgersi a Casa Pound Italia ,che si sta organizzando in merito, o al Mosaico Romano
Contatti:
Casa Pound Italia:
massimo.carletti@gmail.com 3490675700
Mosaico Romano:
mosaicoromano@virgilio.it 3492889419
Se si vuole partire con gruppi che si stanno coordinando autonomamente con il Modavi rivolgersi a Casa Pound Italia ,che si sta organizzando in merito, o al Mosaico Romano
Contatti:
Casa Pound Italia:
massimo.carletti@gmail.com 3490675700
Mosaico Romano:
mosaicoromano@virgilio.it 3492889419
CASA POUND ITALIA:punti per raccolta aiuti per l'Abruzzo
Coperte, vestiti, pannolini, latte in polvere, casse d'acqua e tutti i beni di prima necessita', che possono servire alle popolazioni gravemente colpite dal terremoto in Abruzzo, verrano raccolti presso i centri di CasaPound Italia presenti su tutto il territorio nazionale, e messi a disposizione delle locali sedi della Protezione Civile.
Si invita alla solidarietà fattiva verso i fratelli abruzzesi colpiti dalla tremenda tragedia.Di seguito i luoghi ove si stanno allestendo in queste ore i punti raccolta:
ROMA - Via Napoleone III, 8
ROMA - Via degli Orti di Malabarba, 15
LATINA - Via XVIII Dicembre, 33
SULMONA - Corso Ovidio, 208
TORINO - Via Cellini, 22
MILANO - Via San Brunone, 17
MILANO - Via Pareto, 14
DOMODOSSOLA - Piazza della convenzione, 5
VERONA - Via Poloni, 30
BOLOGNA - Piazza di Porta Castiglione, 12
PISTOIA - Via Porta San Marco, 161RIETI - Via Garibaldi, 139
AREZZO - Via San Lorentino, 51
FERENTINO(FR) - Via Guglielmo Marconi, 100
SORA(FR) - via lucio Gallio 9ARNARA - via dei fossi sncSALERNO - Via Galdo, 4
NAPOLI - Via degli Astronauti
AVELLINO - Via Circumvallazione, 55
AVELLINO - Piazza Trecine, 5
BARI - Via Garruba, 22
PALERMO - Via Tevere, 4
SASSARI - Via degli astronauti, 3
SIENA - Via Stalloreggi, 87
LAMEZIA TERME - piazza s.giovanni 17
TODI - Portici Comunali Piazza del Popolo
PARMA - Via Iacchia, 33
REGGIO EMILIA - Via Montefiorino, 10/h
Si invita alla solidarietà fattiva verso i fratelli abruzzesi colpiti dalla tremenda tragedia.Di seguito i luoghi ove si stanno allestendo in queste ore i punti raccolta:
ROMA - Via Napoleone III, 8
ROMA - Via degli Orti di Malabarba, 15
LATINA - Via XVIII Dicembre, 33
SULMONA - Corso Ovidio, 208
TORINO - Via Cellini, 22
MILANO - Via San Brunone, 17
MILANO - Via Pareto, 14
DOMODOSSOLA - Piazza della convenzione, 5
VERONA - Via Poloni, 30
BOLOGNA - Piazza di Porta Castiglione, 12
PISTOIA - Via Porta San Marco, 161RIETI - Via Garibaldi, 139
AREZZO - Via San Lorentino, 51
FERENTINO(FR) - Via Guglielmo Marconi, 100
SORA(FR) - via lucio Gallio 9ARNARA - via dei fossi sncSALERNO - Via Galdo, 4
NAPOLI - Via degli Astronauti
AVELLINO - Via Circumvallazione, 55
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BARI - Via Garruba, 22
PALERMO - Via Tevere, 4
SASSARI - Via degli astronauti, 3
SIENA - Via Stalloreggi, 87
LAMEZIA TERME - piazza s.giovanni 17
TODI - Portici Comunali Piazza del Popolo
PARMA - Via Iacchia, 33
REGGIO EMILIA - Via Montefiorino, 10/h
lunedì 6 aprile 2009
ALL MUSIC chiude
L'ingegner De Benedetti avvia le procedure.
La risposta dei dipendenti.
La manovra dell’Azienda è licenziare per chiudere gli studi
di registrazione e le produzioni delle news, e affidare a
società esterne e/o interne al Gruppo Espresso tutte le
lavorazioni.
I lavoratori di All Music resteranno a casa e Radio
Deejay zitta zitta cerca personale!!!!!!!!!!!!!!!
L’AZIENDA NON TRATTA, NON RICOLLOCA, NON
VUOLE LA CASSA INTEGRAZIONE. L’AZIENDA
TACE, IL GRUPPO ESPRESSO TACE.
E NOI GRIDIAMO I NOSTRI LICENZIAMENTI PERCHE’
L’OPINIONE PUBBLICA DEVE SAPERE CHE UN
GRUPPO CON PIU’ DI TREMILA DIPENDENTI NON
TROVA POSTO A 29 PERSONE!!!!!!!!!
I lavoratori di All Music Spa
Milano, 30/03/09
e-mail: fallmusic@libero.it
internet: www.fallmusic.tk
La risposta dei dipendenti.
La manovra dell’Azienda è licenziare per chiudere gli studi
di registrazione e le produzioni delle news, e affidare a
società esterne e/o interne al Gruppo Espresso tutte le
lavorazioni.
I lavoratori di All Music resteranno a casa e Radio
Deejay zitta zitta cerca personale!!!!!!!!!!!!!!!
L’AZIENDA NON TRATTA, NON RICOLLOCA, NON
VUOLE LA CASSA INTEGRAZIONE. L’AZIENDA
TACE, IL GRUPPO ESPRESSO TACE.
E NOI GRIDIAMO I NOSTRI LICENZIAMENTI PERCHE’
L’OPINIONE PUBBLICA DEVE SAPERE CHE UN
GRUPPO CON PIU’ DI TREMILA DIPENDENTI NON
TROVA POSTO A 29 PERSONE!!!!!!!!!
I lavoratori di All Music Spa
Milano, 30/03/09
e-mail: fallmusic@libero.it
internet: www.fallmusic.tk
domenica 5 aprile 2009
Piazzale Loreto è il male assoluto
(Adnkronos) - ''Da sinistra mi hanno accusato di essere andata in missione nell'ultradestra per conto del mio 'padrone'. Loro parlano di 'padroni', ragionano cosi'.
Ma io ho incontrato solo persone gentili, intelligenti, attente. Tra le due civilta' c'e' un abisso. Anzi, direi che civilta' si puo' definire solo la destra, che questa sinistra civile non e'''.
A parlare e' il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, che ieri sera e' stata ospite a Casapound, nello stabile occupato di via Napoleone III, a Roma, per presentare 'La mia vita e' stata una corsa', il documentario su Bettino Craxi realizzato dalla Fondazione che porta il suo nome.
Tra l'esponente del Pdl e i ragazzi di Cpi e' stato amore a prima vista.
La Craxi e' voluta intervenire nonostante le polemiche, liquidate in fretta con un ''non le capisco'', ed e' stato molto applaudita.
Era li' per ricordare suo padre, per ''ristabilire la verita''' su quello che e' accaduto nella recente storia d'Italia, e non si e' tirata indietro di fronte alle domande della sala, affollatissima, e a qualche provocazione. Alla fine del dibattito, dopo gli interventi di Gianluca Iannone, Massimo Carletti e Adriano Scianca, dopo la proiezione del film, visto in religioso silenzio, e il suo stesso intervento, alla Craxi e' stata regalata una bandiera di Casapound, raffigurante una tartaruga bianca e nera in campo rosso, che lei, scherzando, si e' avvolta addosso a mo' di mantello.
''Per dire grazie dell'accoglienza - ha spiegato poi - Dalla sinistra certo non l'avrei avuta''.
''A sinistra nessuno mi ha mai invitato a parlare di mio padre'', ha detto il sottosegretario, spiegando di essere felice di essere li', al di la' di tutto.
Proprio ricordando ''le battaglie di liberta''' condotte dal padre, e le stesse parole che il leader socialista, ''da antifascista'' e ''da patriota'', aveva pronunciato auspicando che l'Italia si potesse lasciare alle spalle la guerra civile, Stefania Craxi ha spiegato: ''A chi dice che il fascismo e' il male assoluto, io rispondo che piazzale Loreto e' il male assoluto''.
Sia consentito sommessamente osservare che il protagonista di Sigonella non è amato nè a destra nè a sinistra. La dignità nazionale non è per loro.
Ma io ho incontrato solo persone gentili, intelligenti, attente. Tra le due civilta' c'e' un abisso. Anzi, direi che civilta' si puo' definire solo la destra, che questa sinistra civile non e'''.
A parlare e' il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, che ieri sera e' stata ospite a Casapound, nello stabile occupato di via Napoleone III, a Roma, per presentare 'La mia vita e' stata una corsa', il documentario su Bettino Craxi realizzato dalla Fondazione che porta il suo nome.
Tra l'esponente del Pdl e i ragazzi di Cpi e' stato amore a prima vista.
La Craxi e' voluta intervenire nonostante le polemiche, liquidate in fretta con un ''non le capisco'', ed e' stato molto applaudita.
Era li' per ricordare suo padre, per ''ristabilire la verita''' su quello che e' accaduto nella recente storia d'Italia, e non si e' tirata indietro di fronte alle domande della sala, affollatissima, e a qualche provocazione. Alla fine del dibattito, dopo gli interventi di Gianluca Iannone, Massimo Carletti e Adriano Scianca, dopo la proiezione del film, visto in religioso silenzio, e il suo stesso intervento, alla Craxi e' stata regalata una bandiera di Casapound, raffigurante una tartaruga bianca e nera in campo rosso, che lei, scherzando, si e' avvolta addosso a mo' di mantello.
''Per dire grazie dell'accoglienza - ha spiegato poi - Dalla sinistra certo non l'avrei avuta''.
''A sinistra nessuno mi ha mai invitato a parlare di mio padre'', ha detto il sottosegretario, spiegando di essere felice di essere li', al di la' di tutto.
Proprio ricordando ''le battaglie di liberta''' condotte dal padre, e le stesse parole che il leader socialista, ''da antifascista'' e ''da patriota'', aveva pronunciato auspicando che l'Italia si potesse lasciare alle spalle la guerra civile, Stefania Craxi ha spiegato: ''A chi dice che il fascismo e' il male assoluto, io rispondo che piazzale Loreto e' il male assoluto''.
Sia consentito sommessamente osservare che il protagonista di Sigonella non è amato nè a destra nè a sinistra. La dignità nazionale non è per loro.
lunedì 30 marzo 2009
Le t.shirt dei soldati israeliani

"Un colpo, due morti": il disegno è un mirino di un cecchino che punta direttamente sul 'pancione' di una donna palestinese (nella foto)
-"Usa il preservativo": una mamma palestinese che tiene i braccio il suo bambino morto.
- Un’altra maglietta riporta un fumetto con un bambino palestinese, che nel crescere diventa prima un giovane lanciatore di pietre, poi un miliziano armato.
La didascalia dice "Non importa come inizia, siamo noi a decidere quando finisce la partita".
- "Ogni madre araba deve sapere che il destino del proprio figlio è nelle mie mani".
Notizia tratta dal quotidiano israeliano Haaretz che ha sottolineato la fornitura di t.shirt destinata a diversi battaglioni e brigate dell’esercito per celebrare la conclusione di alcuni corsi d’addestramento. Magliette che hanno fatto la fortuna, in poche settimana, dell’azienda tessile 'Adiv', di Tel-Aviv, specializzata nel rifornire i vari corpi dell’esercito di berretti, t.shirt e pantaloni.
sabato 28 marzo 2009
Preferiscono non farsi conoscere
PDL: CONGRESSO; FI DICE NO A STUDIO SU BASE PARTITO/ANSANON AUTORIZZATA RICERCA 4 UNIVERSITA' FATTA GIA' SU 13 PARTITI (di Paolo Cucchiarelli) (ANSA) - ROMA, 26 MAR - Manchera' alla ricerca nazionale sulle trasformazione dei partiti politici il pezzo piu' pregiato: il Pdl. All'ultimo minuto, quando gia' An aveva detto di si', e' arrivato il no di Fi che impedira' all'Osservatorio italiano sulle trasformazioni dei partiti politici, di fatto una task force che ha monitorato e studiato da vicino i mutamenti che hanno attraversato le 13 formazioni politiche del nostro Paese, proprio il partito che nasce durante il weekend. Il bello e' che a finanziare il progetto, oltre alle universita' di Firenze (Marco Tarchi, che coordina la ricerca), quella di Bologna (professor Aldo Di Virgilio), quella di Cosenza (professor Francesco Raniolo) e Trieste (professoressa Anna Bosco) e' il ministero della Ricerca Scientifica che lo ha ritenuto l'iniziativa di studio ''Progetto di ricerca di interesse nazionale''. La tranche del finanziamento statale e' di 70.000 euro. Lo studio avviato sui partiti ha visto i ricercatori e i professori monitorare, vivisezionare, analizzare da vicino i delegati, la classe dirigente, le aspettative e gli obiettivi della Margherita, dei Ds, poi del Pd come dell'Udeur o del Nuovo Psi. Insomma, tutti, nessuno escluso. Per il Pdl avevano preparato un questionario di 18 pagine rigorosamente scientifico, in parte comune alla ricerca, in parte disegnato ad hoc per sondare nel profondo l'hanimus del nuovo partito. Ma ora non se ne fara' nulla. Tarchi, presidente del corso di laurea in Scienze politiche a Firenze e tra i politologi piu' interessati al mondo del centrodestra e' molto dispiaciuto. La ''grande ricerca'' sui
partiti che cambiano sara' monca, orba del pezzo piu' importante. ''Sono stupito e molto rammaricato - dice Tarchi - perche' sinora tutti i partiti italiani contattati, inclusi Forza Italia e, pochi giorni fa, Alleanza Nazionale, avevano collaborato con ampia e cortese disponibilita' alla ricerca che, comprendendo l'intero sistema partitico italiano, avra' certamente un grave danno dall'impossibilita' di raccogliere i dati relativi al Pdl. E' stata negata l'autorizzazione a presenziare al congresso di fondazione del Popolo della liberta' e a distribuire ai delegati un questionario su cultura politica, organizzazione e strategia del partito''. ''L'accredito al gruppo di 8 ricercatori che avrebbe dovuto distribuire, far compilare e ritirare i questionari non e' stato concesso per 'motivi di sicurezza' - si stupisce il professore - E' la prima volta che l'Osservatorio si vede opporre un diniego, da quando, nell'ottobre 2002, ha intrapreso le sue ricerche, monitorando i congressi di tutti i partiti italiani (ultimo, giorni fa, quello di Alleanza nazionale). Ovviamente, il divieto sara' di pregiudizio alla ricerca condotta, di cui si prevede la pubblicazione in tre volumi nel prossimo anno''. Il professor Di Virgilio ha tenuto i contatti per arrivare a poter effettuare la ricerca. ''Abbiamo avuto due canali. Il comitato toscano di Fi e la fondazione Farefuturo. Da An abbiamo avuto subito un si'. Lunedi', dopo che avevamo presentato tutta la documentazione e la relativa domanda c'e' stato detto che era stato deciso di dire di 'no' a tutte le iniziative analoghe alla nostra. Il nostro pero' non e' un sondaggio: e' una analisi per capire cosa c'e' nel profondo di questo partito. Il no ci ha chiuso ogni possibilita'. Ora abbiamo chiesto, ma non credo che
se ne fara' nulla, di poter fare una rilevazione ex post. Cioe' di avere l'indirizzario degli iscritti e di inviare per posta il questionario. Di fatto - spiega il professore - due sono state le ragioni del diniego alla nostra ricerca: questioni di sicurezza cioe' la presenza del Presidente del Consiglio, 13 ministri e 6000 delegati e appunto il no a qualsiasi sondaggio''.(ANSA).
partiti che cambiano sara' monca, orba del pezzo piu' importante. ''Sono stupito e molto rammaricato - dice Tarchi - perche' sinora tutti i partiti italiani contattati, inclusi Forza Italia e, pochi giorni fa, Alleanza Nazionale, avevano collaborato con ampia e cortese disponibilita' alla ricerca che, comprendendo l'intero sistema partitico italiano, avra' certamente un grave danno dall'impossibilita' di raccogliere i dati relativi al Pdl. E' stata negata l'autorizzazione a presenziare al congresso di fondazione del Popolo della liberta' e a distribuire ai delegati un questionario su cultura politica, organizzazione e strategia del partito''. ''L'accredito al gruppo di 8 ricercatori che avrebbe dovuto distribuire, far compilare e ritirare i questionari non e' stato concesso per 'motivi di sicurezza' - si stupisce il professore - E' la prima volta che l'Osservatorio si vede opporre un diniego, da quando, nell'ottobre 2002, ha intrapreso le sue ricerche, monitorando i congressi di tutti i partiti italiani (ultimo, giorni fa, quello di Alleanza nazionale). Ovviamente, il divieto sara' di pregiudizio alla ricerca condotta, di cui si prevede la pubblicazione in tre volumi nel prossimo anno''. Il professor Di Virgilio ha tenuto i contatti per arrivare a poter effettuare la ricerca. ''Abbiamo avuto due canali. Il comitato toscano di Fi e la fondazione Farefuturo. Da An abbiamo avuto subito un si'. Lunedi', dopo che avevamo presentato tutta la documentazione e la relativa domanda c'e' stato detto che era stato deciso di dire di 'no' a tutte le iniziative analoghe alla nostra. Il nostro pero' non e' un sondaggio: e' una analisi per capire cosa c'e' nel profondo di questo partito. Il no ci ha chiuso ogni possibilita'. Ora abbiamo chiesto, ma non credo che
se ne fara' nulla, di poter fare una rilevazione ex post. Cioe' di avere l'indirizzario degli iscritti e di inviare per posta il questionario. Di fatto - spiega il professore - due sono state le ragioni del diniego alla nostra ricerca: questioni di sicurezza cioe' la presenza del Presidente del Consiglio, 13 ministri e 6000 delegati e appunto il no a qualsiasi sondaggio''.(ANSA).
venerdì 27 marzo 2009
potenziamento di consulblog
L'arrivo di Claudio rinforza la redazione del nostro blog che potrà offrire....qualche bruscolino.
giovedì 26 marzo 2009
INCURSIONI
E' disponibile il quarto numero della rivista Incursioni, intitolato "Il crepuscolo della massa".
E' possibile leggerne l'indice, visitando il sito dell'associazione (www.centrostudimeridie.it) che,fra le altre attività,la edita.
E' possibile leggerne l'indice, visitando il sito dell'associazione (www.centrostudimeridie.it) che,fra le altre attività,la edita.
mercoledì 25 marzo 2009
Fosse Ardeatine
La notiziola riportata in questo blog lo scorso 18 marzo ha avuto scarsissimo rilievo nella stampa ma purtuttavia ha spinto taluni a polemizzare con il giornalista di AVVENIRE.
Credo piu' interessante pubblicare la lettera pervenuta al citato quotidiano
Ho seguito con molto interesse su Avvenire gli articoli su via Rasella e sul manifesto contestato (c’è stato, non c’è stato) e il documento lasciato dal dottor Vittorio Claudi, che ne ricorda l’affissione in piazza Verdi, e gradirei che il suo giornale mi desse la possibilità di dare il mio modesto contributo alla verità su quella tragica pagina della nostra storia. Sono Teresa Aguglia Bentivegna [seconda cugina di Rosario Bentivegna, ndr] e al tempo dell’attentato ero solo una bimbetta di tre anni, per cui non posso e non ho infatti alcun ricordo dell’accaduto. Ma, crescendo, ho da sempre sentito raccontare dai miei, con pena sofferta, il racconto dell’attentato e l’eccidio tedesco che ne seguì come rappresaglia. Dico con pena sofferta da parte dei miei, perché il nome dell’attentatore è sempre stato noto alla mia famiglia (allora residente in Sicilia), così come era da sempre noto che il comando tedesco lanciò un ultimatum, tramite manifesti, affinché l’esecutore, o gli esecutori, si presentassero. In caso contrario sarebbero stati fucilati dieci italiani per ogni soldato tedesco morto. Nessuno si presentò, e 320 italiani innocenti pagarono per quella bomba esplosa al passaggio dei soldati del battaglione Bozen che attraversavano via Rasella. L’autore dell’attentato per quel gesto fu insignito di diverse onorificenze, e qualche anno fa la Cassazione ha classificato il suo gesto come missione (o atto) di guerra. A mio parere, il documento del dottor Claudi non fa altro che convalidare ulteriormente una verità che moltissimi hanno sempre saputo. Chi ha negato in tutti questi anni l’esistenza di quel manifesto, evidentemente lo ha sempre fatto in perfetta malafede, mentendo e sapendo di mentire.
Teresa Aguglia Bentivegna, Roma
http://www.avvenire.it/Cultura/Via+Rasella+divide+ancora_200903250900084930000.htm
Credo piu' interessante pubblicare la lettera pervenuta al citato quotidiano
Ho seguito con molto interesse su Avvenire gli articoli su via Rasella e sul manifesto contestato (c’è stato, non c’è stato) e il documento lasciato dal dottor Vittorio Claudi, che ne ricorda l’affissione in piazza Verdi, e gradirei che il suo giornale mi desse la possibilità di dare il mio modesto contributo alla verità su quella tragica pagina della nostra storia. Sono Teresa Aguglia Bentivegna [seconda cugina di Rosario Bentivegna, ndr] e al tempo dell’attentato ero solo una bimbetta di tre anni, per cui non posso e non ho infatti alcun ricordo dell’accaduto. Ma, crescendo, ho da sempre sentito raccontare dai miei, con pena sofferta, il racconto dell’attentato e l’eccidio tedesco che ne seguì come rappresaglia. Dico con pena sofferta da parte dei miei, perché il nome dell’attentatore è sempre stato noto alla mia famiglia (allora residente in Sicilia), così come era da sempre noto che il comando tedesco lanciò un ultimatum, tramite manifesti, affinché l’esecutore, o gli esecutori, si presentassero. In caso contrario sarebbero stati fucilati dieci italiani per ogni soldato tedesco morto. Nessuno si presentò, e 320 italiani innocenti pagarono per quella bomba esplosa al passaggio dei soldati del battaglione Bozen che attraversavano via Rasella. L’autore dell’attentato per quel gesto fu insignito di diverse onorificenze, e qualche anno fa la Cassazione ha classificato il suo gesto come missione (o atto) di guerra. A mio parere, il documento del dottor Claudi non fa altro che convalidare ulteriormente una verità che moltissimi hanno sempre saputo. Chi ha negato in tutti questi anni l’esistenza di quel manifesto, evidentemente lo ha sempre fatto in perfetta malafede, mentendo e sapendo di mentire.
Teresa Aguglia Bentivegna, Roma
http://www.avvenire.it/Cultura/Via+Rasella+divide+ancora_200903250900084930000.htm
martedì 24 marzo 2009
Da Repubblica di ieri (titolo)

e di oggi (sottolineatura nostra)
"ROMA - La Commissione europea ritiene che le dichiarazioni del Commissario Ue agli Affari Economici, Joaquin Almunia, riportate dalla stampa italiana oggi siano state presentate in modo "tendenzioso e non responsabile". "I mercati sono sufficientemente nervosi per non aggiungere altro nervosismo" ha detto la portavoce Amelia Torres. "Il commissario Almunia non ha detto quel che leggo" negli articoli", risponde così la portavoce della Commissione europea, Amelia Torres, responsabile dell'Economia, che parla di "articoli tendenziosi, non molto seri e non molto responsabili... La situazione è abbastanza seria ed i mercati sono così nervosi che non è proprio necessario rincarare la dose". La portavoce ha ricordato le parole del commissario europeo all'Economia, Joaquin Almunia, il quale ieri in una conferenza si è limitato a dire che "ci sono alcuni Paesi che in passato non hanno fatto gli sforzi necessari... che hanno un grosso debito, e non sono ora nella migliore delle situazioni per avere dei margini di manovra". La portavoce ha ricordato del resto che si tratta dello stesso giudizio contenuto "nel parere della Commissione europea sul piano di stabilità italiano aggiornato, parere che è stato fatto proprio dal Consiglio Ecofin".
lunedì 23 marzo 2009
Dalle prime pagine
Il signor Emanuele Filberto Savoia ha vinto la sfida del format televisivo"Ballando con le stelle".
Il signor Gianfranco Fini archivia A.N. sostenendo :
"No a una corrente nel Pdl che si richiami ad An. Sì a un nuovo partito che si riconosca nei valori del Ppe."
Il signor Gianfranco Fini archivia A.N. sostenendo :
"No a una corrente nel Pdl che si richiami ad An. Sì a un nuovo partito che si riconosca nei valori del Ppe."
mercoledì 18 marzo 2009
da "L'Avvenire" del 17 marzo
...."Poi, nel memoriale di Vittorio Claudi, un lampo: «Io ricordo perfettamente un manifesto affisso a Piazza Verdi, di fronte al Poligrafico (…) che recava tra due bande nere, una sopra e una sotto, l’avvertimento che qualora l’autore ( o gli autori) dell’attentato non si fosse presentato, ci sarebbe stata l’esecuzione di 10 uomini per ogni soldato tedesco, secondo la legge di guerra tedesca». Una fonte non sospetta dunque rimette in gioco quel che è stato sempre graniticamente negato da autori e mandanti dell’attentato di via Rasella: ovvero l’esistenza del manifesto, in base al quale la responsabilità dei partigiani sarebbe più pesante. "
La famiglia Claudi ha operato attivamente con la resistenza nascondendo nella clinica romana di proprietà resistenti e israeliti
La famiglia Claudi ha operato attivamente con la resistenza nascondendo nella clinica romana di proprietà resistenti e israeliti
venerdì 13 marzo 2009
34 anni dopo
"Il 13 marzo 1975, verso le ore 13, Ramelli Sergio residente a Milano in via Amadeo 40, stava appoggiando il motorino poco oltre l'angolo con via Paladini nei pressi della sua abitazione. Veniva aggredito da alcuni giovani armati di chiavi inglesi: il ragazzo, dopo aver tentato disperatamente di difendersi proteggendosi il capo con le mani ed urlando, veniva colpito più volte e lasciato a terra esamine. Alcuni passanti lo soccorrevano e veniva ricoverato al reparto Beretta del policlinico per trauma cranico (più esattamente ampie fratture con affondamento di vasti frammenti), ferita lacero contusa del cuoio capelluto e stato comatoso. Nelle settimane successive alternava a lunghi periodi di incoscienza brevi tratti di lucidità e decedeva il 29 aprile 1975"
(dagli atti del Processo)
(dagli atti del Processo)
giovedì 12 marzo 2009
Analisi
'Fini ha tutti gli elementi per andare al Quirinale. Di fatto si sta contrapponendo a Berlusconi'. Lo ha detto Francesco Cossiga. 'E' il preferito dal centrosinistra per come si è schierato sul caso Englaro, se non si è circonciso, mentalmente lo è, manca solo che si iscriva all'Associazione partigiani...'. Per Cossiga, Berlusconi non salirà sul Colle: è 'una figura di rottura'. Fini invece non potrebbe governare: 'Non ha mai amministrato neanche un condominio di 4 appartamenti'
mercoledì 11 marzo 2009
Un libro da leggere

Il Campo del possibile
Sguardi sulla modernità sociale, politica e culturale
Edizioni Controcorrente
euro 30
Thibault Isabel
L’intuizione fondamentale che percorre Il campo del possibile è che la modernità manifesta uno squilibrio che assume la forma di una turba maniaco-depressiva. Poche epoche hanno conosciuto un disagio umano così profondo quanto l’Occidente contemporaneo. Contrariamente a ciò che pensano gli antimoderni radicali, la modernità ha certo realizzato una serie di progressi, ma ha anche instaurato una rottura decisiva con le ere passate per quanto riguarda la valutazione di sé e del mondo. Il repentino sviluppo delle scienze e della tecnica ha fatto nascere speranze che non potevano essere esaudite. Il senso della misura ha ceduto il passo a slanci di entusiasmo irrealistici che, una volta frustrati, si sono mutati in sconfinata disperazione. Questa condizione coincide con l’estensione di una cultura planetaria sotto l’egida prima degli internazionalismi capitalista e comunista, poi del solo liberalismo apparentemente trionfante.
Oggi è forse giunto il momento di riallacciare i legami con la saggezza antica, secondo la quale il valore di un regime politico non deve essere valutato soltanto in funzione della sua efficacia, ma anche della virtù che si sforza di suscitare nei cittadini. Virtù va qui intesa nel senso classico del termine: un impulso dell’anima, una forza generale del carattere che permette di manifestare generosità, magnanimità e coraggio.
martedì 10 marzo 2009
Mercenari
Da IlFondo :
Oggi mi va proprio di ringraziare apertamente una casa editrice intelligente, la Mursia, un autore di calibro seppur di giovane età, Ippolito Edmondo Ferrario , Luciano Lanna per l’impeccabile prefazione al di cui qui testo, i Mercenari italiani e non…
Sì oggi, schiettamente, voglio dire grazie a tutti coloro su citati per il volume, appunto, Mercenari gli italiani in Congo 1960.
Lettura veloce, agile, curiosa. Stile infallibile e, giornalisticamente parlando, di taglio franco, intimo e diretto. Di più non si può e non si deve chiedere…
Ippolito Edmondo Ferrario è una vera miniera di informazioni a tal riguardo. Scrittore e giornalista del Secolo d’Italia, nato nel 1976, Ferrario è già autore di saggi e romanzi.
Luciano Lanna scrive di lui, partendo dalla rimozione della sindrome deficiente del e sul Mercenario in Congo ed oltre, figura seccante da ricordare nella vulgata storica: «… Adesso c’è anche Ippolito Edmondo Ferrario che quel tabù lo rompe definitivamente, riuscendo a raccontare anche un’altra Africa italiana, quella forse più rimossa e più scomoda e che riguarda l’epopea degli anni Sessanta in cui molti italiani tra i venti e i trent’anni abbandonarono la vita di tutti i giorni per tentare l’avventura nel Continente Nero… Ecco Ferrario ci restituisce adesso i ricordi, i volti, le senzazioni, le memorie e anche qualche nome di questi italiani sconosciuti ai più… Di questa Armata Brancaleone - proprio così la definisce più di qualche reduce - le pagine di Ferrario ripercorrono per la prima volta alcune biografie, ricordando anche qualcuno che in Africa ha lasciato la vita come il coraggioso veneziano Italo Zambon o il Pedersoli… E adesso, anche grazie a Ferrario, questi ragazzi e la loro epoca possono rientrare a pieno titolo nella memoria condivisa di un’Italia che, avviatasi nel ventunesimo secolo, sta finalmente liberandosi di tanti veti e tabù che ne hanno lacerato la tenuta nella seconda metà del Novecento». Ed allora subito a scorticare via dall’immaginario collettivo quella fotografia di stantio stereotipo che vuole il mercenario solo, soltanto e solamente brutto, sudicio, cattivo ed avido. Ed a restituire al «mestiere delle armi» quella sua dignità professionale che ha dovuto sobbarcarsi, in passato, i cosiddetti lavori sporchi di cui non si doveva risciacquar pubblicamente. Con la domanda che ha un sapore di certo rimpianto: «Ma i Mercenari possono ancora esistere e sussistere?».
Il resto lo lascio dire all’autore stesso che ringrazio per la sua piena disponibilità.
Diciamolo subito, Ippolito, a chi saranno devoluti i diritti d’autore di questo tuo libro?
I diritti d’autore verranno devoluti a Popoli Onlus, associazione onlus, appunto, impegnata nell’aiuto concreto quali ospedali da campo ed altro, del popolo Karen perseguitato dalla giunta militare repressiva del governo birmano. Gli appartenenti a Popoli sono persone che rischiano ogni giorno la vita in prima persona e che non hanno certo la notorietà od i riflettori che sono dedicati ad analoghe Onlus come Emergency di Gino Strada. Già solo per questo sono doppiamente meritevoli.
Quanti libri al tuo attivo? E per il futuro?
Ne ho diversi all’attivo anche se alcuni chiamarli libri è un azzardo. Sono ancora un principiante, che, però si è fatto una bella gavetta. Attualmente ho tre volumi in lavorazione: uno sulla musica cosiddetta “alternativa” degli anni 70′, uno sulla guerra d’Algeria (ma non posso dire di più) e poi sto scrivendo un libro in memoria, e sottolineo il concetto “in memoria” di Giancarlo Esposti, militante di Ordine Nero assassinato a Pian del Rascino in un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Di quale Africa parli in “Mercenari”? Qual’è la tua Africa? Quale l’Africa Italiana? Congo ma non solo? Quei lontani anni ‘60?
Sarò sincero. La mia Africa è quella che so per sentito dire… non ho l’indole del viaggiatore. Sono un curioso di natura, m’interessano gli avvenimenti “diciamo dimenticati”, soprattutto quando sono volutamente ignorati. Ho cercato di raccontare una piccola parte di storia italiana svoltasi nel Congo degli anni 60, quando diversi ragazzi partirono per l’ex colonia belga inseguendo un sogno, un ideale e diventando per la storia, quella ufficiale, dei semplici mercenari. In quel paese lontano dalla civiltà europea, credo che avvenne qualcosa di speciale e di unico, che è sempre stato raccontato a metà o peggio con faziosità. Il Congo fu, in quel periodo (dopo l’indipendenza e durante la guerra civile), il crocevia di moltissimi combattenti del secondo conflitto mondiale, ex Wermacht, SS, legionari, inglesi ecc. che, non riuscendo ad accettare la nuova Europa, tentarono ivi l’avventura e non solo quella. Si venne a creare, così, un variegato ed interessante mix di umanità europea nel quale ognuno aveva alle spalle una sua storia personale, a volte di carattere straordinario. Pure gli italiani vi arrivarono numerosi. Non solo i ventenni ma anche quei quarantenni che avevano vissuto l’esperienza della RSI. Due generazioni a confronto, dunque, insofferenti all’Italia del boom economico degli anni 60′.
Chi sono i Mercenari? E quale il loro “mestiere delle armi”? Facciamo un gioco di associazioni, se ho ben capito: RSI, Para, Legionari e loro associazioni, Affreux, Mercenari. Cos’altro o meglio chi altro? Quali furono i loro ruoli? “Via il consumismo” ed avanti con l’aiuto….
I mercenari, chiamiamoli così, erano italiani, ragazzi che allora non digerirono l’atteggiamento buonista e codardo del governo italiano che di fronte al massacro degli aviatori italiani di Kindu proseguì nella missione di pace come se nulla fosse accaduto. Ricordiamo che a Kindu furono massacrati, fatti a pezzi e poi mangiati tredici aviatori italiani impegnati nella missione Onu per portare generi di primo soccorso ai civili congolesi. Bene, molti ex paracadutisti che frequentavano le sezioni ANPDI (Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia) di allora, non tollerarono che il governo proseguisse la missione Onu senza batter ciglio. Sentivano il bisogno di giustizia, di vendicare i propri commilitoni uccisi perché inermi. A questo desiderio di giustizia subentrarono altri fattori: il fascino dell’avventura e l’insofferenza per il mito dell’Italia borghese di quegli anni riassumibile nella triade posto di lavoro sicuro, macchina, mutuo per la casa. Questi ragazzi, ribelli nel senso migliore del termine, nel Congo intravidero una possibilità di riscatto e di avventura. Non dimentichiamo, poi, che c’era per loro la possibilità di impugnare le armi e di combattere contro lo spettro del comunismo che anche e già nell’allora Africa dilagava.
Mercenari italiani ma non solo… “Tabù storiografico e censura”. Perché? Ed ancora cosa su tutti quelli, di mercenari, che vennero trucidati e letteralmente mangiati?
Censura e tabù storiografici hanno pesantemente condizionato tutta la faccenda. Il termine mercenario nell’immaginario collettivo già di per sé non suscita immagini positive. Se poi lo associamo in tempi moderni ad un gruppo di italiani, certamente con simpatie neofasciste e pronti a mettersi in gioco in prima persona, ecco che la censura deve, propriamente, intervenire. Così si dimentica il fatto che molti di questi italiani in Congo salvarono, letteralmente, civili, religiose e religiosi, bambini, dai massacri. Si è, purtroppo, preferito additarli come biechi sanguinari alla mercè del migliore offerente. Cosa tra l’altro neppure vera tra i soldati di ventura della vecchia generazione, per intenderci quelli alla Bob Denard. Il fattore politico giocava e giocò sempre un ruolo di primo piano. Si andava a combattere per una parte o per l’altra non solo per i soldi ma sapendo per quale causa ci si batteva. È pur vero, e non lo si può negare, che molti di questi soldati di ventura, idealisti, furono sfruttati dai giochi di potere dalle super potenze. Questo, però, è un altro discorso più vasto e complesso.
“Che faccia ha un mercenario”? Quale la sua psicologia?
Posso essere sincero? Nel corso della mia indagine giornalistica, ho conosciuto persone normali… Persone normali con storie incredibili. Veri e propri “ragazzi di sessant’anni e più” con uno spirito ancora oggi da fare invidia a un ventenne. Questione evidentemente di mentalità. Inquadrarli dal punto di vista psicologico non è semplice. Più che altro per non cadere nella retorica becera da sociologo di provincia. Ripeto, questi “ragazzi” furono dei ribelli e lo sono ancora, seppur in modo diverso da allora. Una particolarità che concedo a voi in quest’intervista: le cene e le serate più divertenti degli ultimi mesi le ho passate proprio con loro. Non ho mai riso così tanto. Anche grazie alla loro capacità di sdrammattizzare e di raccontarsi in modo semplice e con una forte autocritica. Cosa che difficilmente si riscontra in altri ambienti…vedi quelli della Resistenza italiana, dove tutti sono eroi e tutti eredi di grandi imprese.
Esistono ancora i mercenari? O meglio, quali sono quelle cause od elementi che possano permettere la sussistenza del mercenario? Insomma è ancora il tempo dei Mercenari con la “M” maiuscola?
Oggi i mercenari si chiamano Contractors ed operano attraverso agenzie utilizzate da multinazionali e superpotenze. Non voglio dare giudizi affrettati sulle persone che, oggi, fanno questo mestiere. Varrebbe la pena comunque incontrarli e conoscerli (mi sto già muovendo in questo senso) e raccontare anche di loro in un altro saggio per percepire le eventuali differenze o somiglianze. Non sono uno che ama dare giudizi senza conoscere prima i fatti e non mi permetterei mai di scrivere un libro per denigrare un “X” ambiente o “X” persone. Preferisco tenere un atteggiamento costruttivo che non significa, certo e però, santificare o idealizzare cose o persone. Questo sia chiaro. Di certo convengo sulle eventuali attinenze e conseguenti differenze tra i ragazzi mercenari di allora e quelli di oggi.
Bob Denard… e gli altri. Chi erano? E Come hai contattati i “nostri” mercenari?
Bob Denard era un soldato libero, libero di scegliere da che parte stare e combattere anche se indubbiamente operò sempre dalla parte della Francia o comunque con il suo appoggio. È una figura che non si può liquidare in poche righe. Nel mio libro ho affidato il suo ricordo ad una persona che ebbe modo di lavorare con lui. Per contattare i vecchi mercenari mi sono affidato alla bontà e alla fiducia degli amici dell’ANPDI di Milano che hanno creduto nel mio progetto e mi hanno messo in contatto con i reduci del Congo.
Mercenari tra cinematografia, editoria e musica?
Naturalmente l’impatto mediatico dei mercenari, dal cinema ai libri, passando per la musica, è sempre stato forte. Se qualcuno mi dovesse chiedere di parlare dei mercenari del Congo o comunque dell’Africa del secolo scorso attraverso uno di questi filoni e di riassumere il discorso attraverso un film e una canzone suggerirei questo: a livello musicale di ascoltarsi la bellissima canzone “Il mercenario di Lucera” cantata negli anni 60′ da Pino Caruso al Bagaglino di Roma, motivo che riassume perfettamente la filosofia dei vecchi mercenari di cui parlo nel libro. Ed un film per tutti “I quattro dell’oca selvaggia”, una pellicola ben confezionata, con ottimi attori e calzante alla vita mercenaria che ho cercato, in parte, di raccontare.
A conclusione, chi ringrazi per questo tuo lavoro? E a chi lo dedichi?
Ringrazio i mercenari prima di tutto che si sono fidati del sottoscritto ed accordandogli la loro fiducia. Il che non è poco. Si tratta di persone che per quarant’anni non hanno mai cercato i riflettori e che si sono concesse alle mie interviste dopo misurata meditazione. Poi devo ringraziare gli amici dell’ANPDI di Milano, in particolare Mauro Melchionda, sempre pronto e disponibile nei miei confronti. Il libro lo dedico a mia figlia ed ai ragazzi d’oggi. Credo che in questo caos attuale ci sia ancora, seppur sepolto, in qualcuno un sano spirito di “ribellione” che va incanalato nella giusta direzione. Con questo libro racconto come alcuni giovani, seppur di tanti anni fa, diressero la loro esistenza in imprese magari non memorabili, ma certamente da non dimenticare.
Oggi mi va proprio di ringraziare apertamente una casa editrice intelligente, la Mursia, un autore di calibro seppur di giovane età, Ippolito Edmondo Ferrario , Luciano Lanna per l’impeccabile prefazione al di cui qui testo, i Mercenari italiani e non…
Sì oggi, schiettamente, voglio dire grazie a tutti coloro su citati per il volume, appunto, Mercenari gli italiani in Congo 1960.
Lettura veloce, agile, curiosa. Stile infallibile e, giornalisticamente parlando, di taglio franco, intimo e diretto. Di più non si può e non si deve chiedere…
Ippolito Edmondo Ferrario è una vera miniera di informazioni a tal riguardo. Scrittore e giornalista del Secolo d’Italia, nato nel 1976, Ferrario è già autore di saggi e romanzi.
Luciano Lanna scrive di lui, partendo dalla rimozione della sindrome deficiente del e sul Mercenario in Congo ed oltre, figura seccante da ricordare nella vulgata storica: «… Adesso c’è anche Ippolito Edmondo Ferrario che quel tabù lo rompe definitivamente, riuscendo a raccontare anche un’altra Africa italiana, quella forse più rimossa e più scomoda e che riguarda l’epopea degli anni Sessanta in cui molti italiani tra i venti e i trent’anni abbandonarono la vita di tutti i giorni per tentare l’avventura nel Continente Nero… Ecco Ferrario ci restituisce adesso i ricordi, i volti, le senzazioni, le memorie e anche qualche nome di questi italiani sconosciuti ai più… Di questa Armata Brancaleone - proprio così la definisce più di qualche reduce - le pagine di Ferrario ripercorrono per la prima volta alcune biografie, ricordando anche qualcuno che in Africa ha lasciato la vita come il coraggioso veneziano Italo Zambon o il Pedersoli… E adesso, anche grazie a Ferrario, questi ragazzi e la loro epoca possono rientrare a pieno titolo nella memoria condivisa di un’Italia che, avviatasi nel ventunesimo secolo, sta finalmente liberandosi di tanti veti e tabù che ne hanno lacerato la tenuta nella seconda metà del Novecento». Ed allora subito a scorticare via dall’immaginario collettivo quella fotografia di stantio stereotipo che vuole il mercenario solo, soltanto e solamente brutto, sudicio, cattivo ed avido. Ed a restituire al «mestiere delle armi» quella sua dignità professionale che ha dovuto sobbarcarsi, in passato, i cosiddetti lavori sporchi di cui non si doveva risciacquar pubblicamente. Con la domanda che ha un sapore di certo rimpianto: «Ma i Mercenari possono ancora esistere e sussistere?».
Il resto lo lascio dire all’autore stesso che ringrazio per la sua piena disponibilità.
Diciamolo subito, Ippolito, a chi saranno devoluti i diritti d’autore di questo tuo libro?
I diritti d’autore verranno devoluti a Popoli Onlus, associazione onlus, appunto, impegnata nell’aiuto concreto quali ospedali da campo ed altro, del popolo Karen perseguitato dalla giunta militare repressiva del governo birmano. Gli appartenenti a Popoli sono persone che rischiano ogni giorno la vita in prima persona e che non hanno certo la notorietà od i riflettori che sono dedicati ad analoghe Onlus come Emergency di Gino Strada. Già solo per questo sono doppiamente meritevoli.
Quanti libri al tuo attivo? E per il futuro?
Ne ho diversi all’attivo anche se alcuni chiamarli libri è un azzardo. Sono ancora un principiante, che, però si è fatto una bella gavetta. Attualmente ho tre volumi in lavorazione: uno sulla musica cosiddetta “alternativa” degli anni 70′, uno sulla guerra d’Algeria (ma non posso dire di più) e poi sto scrivendo un libro in memoria, e sottolineo il concetto “in memoria” di Giancarlo Esposti, militante di Ordine Nero assassinato a Pian del Rascino in un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Di quale Africa parli in “Mercenari”? Qual’è la tua Africa? Quale l’Africa Italiana? Congo ma non solo? Quei lontani anni ‘60?
Sarò sincero. La mia Africa è quella che so per sentito dire… non ho l’indole del viaggiatore. Sono un curioso di natura, m’interessano gli avvenimenti “diciamo dimenticati”, soprattutto quando sono volutamente ignorati. Ho cercato di raccontare una piccola parte di storia italiana svoltasi nel Congo degli anni 60, quando diversi ragazzi partirono per l’ex colonia belga inseguendo un sogno, un ideale e diventando per la storia, quella ufficiale, dei semplici mercenari. In quel paese lontano dalla civiltà europea, credo che avvenne qualcosa di speciale e di unico, che è sempre stato raccontato a metà o peggio con faziosità. Il Congo fu, in quel periodo (dopo l’indipendenza e durante la guerra civile), il crocevia di moltissimi combattenti del secondo conflitto mondiale, ex Wermacht, SS, legionari, inglesi ecc. che, non riuscendo ad accettare la nuova Europa, tentarono ivi l’avventura e non solo quella. Si venne a creare, così, un variegato ed interessante mix di umanità europea nel quale ognuno aveva alle spalle una sua storia personale, a volte di carattere straordinario. Pure gli italiani vi arrivarono numerosi. Non solo i ventenni ma anche quei quarantenni che avevano vissuto l’esperienza della RSI. Due generazioni a confronto, dunque, insofferenti all’Italia del boom economico degli anni 60′.
Chi sono i Mercenari? E quale il loro “mestiere delle armi”? Facciamo un gioco di associazioni, se ho ben capito: RSI, Para, Legionari e loro associazioni, Affreux, Mercenari. Cos’altro o meglio chi altro? Quali furono i loro ruoli? “Via il consumismo” ed avanti con l’aiuto….
I mercenari, chiamiamoli così, erano italiani, ragazzi che allora non digerirono l’atteggiamento buonista e codardo del governo italiano che di fronte al massacro degli aviatori italiani di Kindu proseguì nella missione di pace come se nulla fosse accaduto. Ricordiamo che a Kindu furono massacrati, fatti a pezzi e poi mangiati tredici aviatori italiani impegnati nella missione Onu per portare generi di primo soccorso ai civili congolesi. Bene, molti ex paracadutisti che frequentavano le sezioni ANPDI (Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia) di allora, non tollerarono che il governo proseguisse la missione Onu senza batter ciglio. Sentivano il bisogno di giustizia, di vendicare i propri commilitoni uccisi perché inermi. A questo desiderio di giustizia subentrarono altri fattori: il fascino dell’avventura e l’insofferenza per il mito dell’Italia borghese di quegli anni riassumibile nella triade posto di lavoro sicuro, macchina, mutuo per la casa. Questi ragazzi, ribelli nel senso migliore del termine, nel Congo intravidero una possibilità di riscatto e di avventura. Non dimentichiamo, poi, che c’era per loro la possibilità di impugnare le armi e di combattere contro lo spettro del comunismo che anche e già nell’allora Africa dilagava.
Mercenari italiani ma non solo… “Tabù storiografico e censura”. Perché? Ed ancora cosa su tutti quelli, di mercenari, che vennero trucidati e letteralmente mangiati?
Censura e tabù storiografici hanno pesantemente condizionato tutta la faccenda. Il termine mercenario nell’immaginario collettivo già di per sé non suscita immagini positive. Se poi lo associamo in tempi moderni ad un gruppo di italiani, certamente con simpatie neofasciste e pronti a mettersi in gioco in prima persona, ecco che la censura deve, propriamente, intervenire. Così si dimentica il fatto che molti di questi italiani in Congo salvarono, letteralmente, civili, religiose e religiosi, bambini, dai massacri. Si è, purtroppo, preferito additarli come biechi sanguinari alla mercè del migliore offerente. Cosa tra l’altro neppure vera tra i soldati di ventura della vecchia generazione, per intenderci quelli alla Bob Denard. Il fattore politico giocava e giocò sempre un ruolo di primo piano. Si andava a combattere per una parte o per l’altra non solo per i soldi ma sapendo per quale causa ci si batteva. È pur vero, e non lo si può negare, che molti di questi soldati di ventura, idealisti, furono sfruttati dai giochi di potere dalle super potenze. Questo, però, è un altro discorso più vasto e complesso.
“Che faccia ha un mercenario”? Quale la sua psicologia?
Posso essere sincero? Nel corso della mia indagine giornalistica, ho conosciuto persone normali… Persone normali con storie incredibili. Veri e propri “ragazzi di sessant’anni e più” con uno spirito ancora oggi da fare invidia a un ventenne. Questione evidentemente di mentalità. Inquadrarli dal punto di vista psicologico non è semplice. Più che altro per non cadere nella retorica becera da sociologo di provincia. Ripeto, questi “ragazzi” furono dei ribelli e lo sono ancora, seppur in modo diverso da allora. Una particolarità che concedo a voi in quest’intervista: le cene e le serate più divertenti degli ultimi mesi le ho passate proprio con loro. Non ho mai riso così tanto. Anche grazie alla loro capacità di sdrammattizzare e di raccontarsi in modo semplice e con una forte autocritica. Cosa che difficilmente si riscontra in altri ambienti…vedi quelli della Resistenza italiana, dove tutti sono eroi e tutti eredi di grandi imprese.
Esistono ancora i mercenari? O meglio, quali sono quelle cause od elementi che possano permettere la sussistenza del mercenario? Insomma è ancora il tempo dei Mercenari con la “M” maiuscola?
Oggi i mercenari si chiamano Contractors ed operano attraverso agenzie utilizzate da multinazionali e superpotenze. Non voglio dare giudizi affrettati sulle persone che, oggi, fanno questo mestiere. Varrebbe la pena comunque incontrarli e conoscerli (mi sto già muovendo in questo senso) e raccontare anche di loro in un altro saggio per percepire le eventuali differenze o somiglianze. Non sono uno che ama dare giudizi senza conoscere prima i fatti e non mi permetterei mai di scrivere un libro per denigrare un “X” ambiente o “X” persone. Preferisco tenere un atteggiamento costruttivo che non significa, certo e però, santificare o idealizzare cose o persone. Questo sia chiaro. Di certo convengo sulle eventuali attinenze e conseguenti differenze tra i ragazzi mercenari di allora e quelli di oggi.
Bob Denard… e gli altri. Chi erano? E Come hai contattati i “nostri” mercenari?
Bob Denard era un soldato libero, libero di scegliere da che parte stare e combattere anche se indubbiamente operò sempre dalla parte della Francia o comunque con il suo appoggio. È una figura che non si può liquidare in poche righe. Nel mio libro ho affidato il suo ricordo ad una persona che ebbe modo di lavorare con lui. Per contattare i vecchi mercenari mi sono affidato alla bontà e alla fiducia degli amici dell’ANPDI di Milano che hanno creduto nel mio progetto e mi hanno messo in contatto con i reduci del Congo.
Mercenari tra cinematografia, editoria e musica?
Naturalmente l’impatto mediatico dei mercenari, dal cinema ai libri, passando per la musica, è sempre stato forte. Se qualcuno mi dovesse chiedere di parlare dei mercenari del Congo o comunque dell’Africa del secolo scorso attraverso uno di questi filoni e di riassumere il discorso attraverso un film e una canzone suggerirei questo: a livello musicale di ascoltarsi la bellissima canzone “Il mercenario di Lucera” cantata negli anni 60′ da Pino Caruso al Bagaglino di Roma, motivo che riassume perfettamente la filosofia dei vecchi mercenari di cui parlo nel libro. Ed un film per tutti “I quattro dell’oca selvaggia”, una pellicola ben confezionata, con ottimi attori e calzante alla vita mercenaria che ho cercato, in parte, di raccontare.
A conclusione, chi ringrazi per questo tuo lavoro? E a chi lo dedichi?
Ringrazio i mercenari prima di tutto che si sono fidati del sottoscritto ed accordandogli la loro fiducia. Il che non è poco. Si tratta di persone che per quarant’anni non hanno mai cercato i riflettori e che si sono concesse alle mie interviste dopo misurata meditazione. Poi devo ringraziare gli amici dell’ANPDI di Milano, in particolare Mauro Melchionda, sempre pronto e disponibile nei miei confronti. Il libro lo dedico a mia figlia ed ai ragazzi d’oggi. Credo che in questo caos attuale ci sia ancora, seppur sepolto, in qualcuno un sano spirito di “ribellione” che va incanalato nella giusta direzione. Con questo libro racconto come alcuni giovani, seppur di tanti anni fa, diressero la loro esistenza in imprese magari non memorabili, ma certamente da non dimenticare.
lunedì 9 marzo 2009
TRE IDEE per il 5 per mille
Anche quest'anno puoi destinare il 5 per 1000 a favore di:
Casa Pound:COOP. L'ISOLA DELLE TARTARUGHE SOC.codice: 09301381001www.casapound.org
l'Uomo Libero:ASSOCIAZIONE DI INTERVENTO SOCIALE E CULTURALE L'UOMO LIBERO ONLUScodice: 00670160225 www.luomolibero.it
Popoli:COMUNITA' SOLIDARISTA POPOLI - ONLUS codice: 03119750234 www.comunitapopoli.org
Destinare il 5x1000:->
non costa nulla ->
non è alternativo all’8x1000 (destinato alle confessioni religiose) ->
è facilissimo:
è sufficiente compilare la scheda del 5xMille presente in tutti i moduli per la dichiarazione dei redditi (CUD, 730 e Unico).
Casa Pound:COOP. L'ISOLA DELLE TARTARUGHE SOC.codice: 09301381001www.casapound.org
l'Uomo Libero:ASSOCIAZIONE DI INTERVENTO SOCIALE E CULTURALE L'UOMO LIBERO ONLUScodice: 00670160225 www.luomolibero.it
Popoli:COMUNITA' SOLIDARISTA POPOLI - ONLUS codice: 03119750234 www.comunitapopoli.org
Destinare il 5x1000:->
non costa nulla ->
non è alternativo all’8x1000 (destinato alle confessioni religiose) ->
è facilissimo:
è sufficiente compilare la scheda del 5xMille presente in tutti i moduli per la dichiarazione dei redditi (CUD, 730 e Unico).
giovedì 5 marzo 2009
CASA POUND bonifica ambiente
Questa mattina militanti di Casa Pound Roma hanno iniziato l’operazione di bonifica della enorme discarica di via Mastrigli”.
Così inizia la nota di Andrea Antonini, capogruppo de La Destra in XX Municipio e coordinatore regionale di Casa Pound Italia.
“Dal 1983 politici di varie appartenenze interrogano le istituzioni per chiedere conto dello scempio di via Mastrigli; lì uno dei tanti speculatori romani, Callarà, ha pensato bene di edificare un residence suddiviso in tanti piccoli loculi da 10 metri quadrati all’interno dei quali stipare un numero indefinito di extracomunitari che vivono in condizioni disumane e pericolose per sé e per il quartiere”.
Continua Antonini “Che pericolosità ambientale ci sia, lo dimostra il sequestro della magistratura dell’area di parcheggio del residence stesso, edificata su almeno tre strati di rifiuti “da cantiere” lì sotto nascosti; lo dimostrano, soprattutto, i tre morti contati dal residence - di uguale tipologia - costruito dal signor Callarà in via Pieve di Cadore”.
Conclude Antonini “Ebbene, noi pensiamo che il tempo delle interrogazioni sia finito; all’assessore De Lillo comunichiamo che il tempo delle chiacchiere è terminato, la sua sfilata post-elettorale in via Mastrigli è stata compiuta, ora è arrivato il momento di dimostrare da che parte sta, se da quella dei cittadini romani di via Mastrigli o da quella di Callarà.
Se non provvederà lui a ciò che è stato preposto a fare, porteremo periodicamente sotto casa sua un po’ di quei materiali che da anni giacciono davanti al residence-ghetto di via Mastrigli, così che la mattina possa rendersi conto di cosa significhi vivere sopra una discarica”
Così inizia la nota di Andrea Antonini, capogruppo de La Destra in XX Municipio e coordinatore regionale di Casa Pound Italia.
“Dal 1983 politici di varie appartenenze interrogano le istituzioni per chiedere conto dello scempio di via Mastrigli; lì uno dei tanti speculatori romani, Callarà, ha pensato bene di edificare un residence suddiviso in tanti piccoli loculi da 10 metri quadrati all’interno dei quali stipare un numero indefinito di extracomunitari che vivono in condizioni disumane e pericolose per sé e per il quartiere”.
Continua Antonini “Che pericolosità ambientale ci sia, lo dimostra il sequestro della magistratura dell’area di parcheggio del residence stesso, edificata su almeno tre strati di rifiuti “da cantiere” lì sotto nascosti; lo dimostrano, soprattutto, i tre morti contati dal residence - di uguale tipologia - costruito dal signor Callarà in via Pieve di Cadore”.
Conclude Antonini “Ebbene, noi pensiamo che il tempo delle interrogazioni sia finito; all’assessore De Lillo comunichiamo che il tempo delle chiacchiere è terminato, la sua sfilata post-elettorale in via Mastrigli è stata compiuta, ora è arrivato il momento di dimostrare da che parte sta, se da quella dei cittadini romani di via Mastrigli o da quella di Callarà.
Se non provvederà lui a ciò che è stato preposto a fare, porteremo periodicamente sotto casa sua un po’ di quei materiali che da anni giacciono davanti al residence-ghetto di via Mastrigli, così che la mattina possa rendersi conto di cosa significhi vivere sopra una discarica”
martedì 3 marzo 2009
FARE VERDE:una riflessione su uno scandalo alimentare
Un primo passo, forse piccolo, ma e' arrivato.
Ci sono voluti quasi quattro anni perche' un giudicie di pace di Giarre prendesse il toro per le corna e constatasse quello che agli occhi di tutti pareva ovvio.
Nell'emergenza scoppiata nel 2005 sul latte all'ITX Tetrapak e Nestle' giocarono un ruolo importante e provocarono danni alla salute.
Come si ricordera', il caso ebbe un'eco mondiale vista l'importanza dei due gruppi coinvolti che dappirma provarono a negare qualunque responsabilita', poi a minimizzare contando sull'effetto tempo, ovvero sullo scorrere dei mesi e degli anni che finisce per far dimenticare ogni vicenda, anche le piu' gravi.
Del resto, per esempio, quasi nessuno ricorda che i piu' grandi scandali alimentari europei e piu' in generale mondiali hanno visto coinvolte alcuni tra i piu' noti nomi dell'industria alimentare e quasi mai piccoli produttori che sono i primi pero' a fare i conti con una legislazione che sembra fatta apposta per penalizzare i piccoli, dietro il paravento di misure burocratiche volte a tutelare solo nominalmente la salute, si pensi per tutti ai casi che hanno riguardato alcuni prodotti tipici alimentari italiani, e avvantagiare la produzione di alimenti su base industriale.
Con tutto quello che ne consegue.Lo scandalo, perche' tale fu, dell'ITX venne preso di petto da Fare Verde che non ha mai creduto troppo alla veste ecologista di cui si ammanta un'azienda come Tetrapak, forse la maggiore azienda al mondo interessata ad evitare il reintegro di qualsiasi forma di vuoto a rendere sui contenitori.
E che anche nella circostanza mostro' reticenze e posizioni degne dei peggiori standard comunicativi.
Sulla Nestle' non c'e' molto da dire se non che forse nella circostanza ha avuto meno responsabilita' che in altre ben piu' drammatiche circostanze.
La battaglia condotta da Fare Verde qualche risultato lo provoco', a partire dalle migliaia di firme raccolte perche' venisse introdotto l'obbligo perche' le confezioni di latte per bambini venissero vendute in altri materiali a minor impatto ambientale e maggiormente sicuri.
E se non altro segnalo' il problema ad una fascia di popolazione che sino ad allora aveva, ignara, riempito i propri frigo di ogni ben di Dio con confezioni rigorosamente in Tetrapak.
La decisione del giudice di Giarre non sappiamo se produrra' effetti a catene e soprattutto immaginiamo che possa venire ribaltata in altri gradi di giudizio - Fare Verde c'e' passata con la vicenda dei bastoncini cotonati anni fa, come forse qualcuno ricordera' - ma rimane un piccolo segnale di civilta' e di giustizia di cui, di fronte allo strapotere di certe lobbies c'e' tanto bisogno.
Ci sono voluti quasi quattro anni perche' un giudicie di pace di Giarre prendesse il toro per le corna e constatasse quello che agli occhi di tutti pareva ovvio.
Nell'emergenza scoppiata nel 2005 sul latte all'ITX Tetrapak e Nestle' giocarono un ruolo importante e provocarono danni alla salute.
Come si ricordera', il caso ebbe un'eco mondiale vista l'importanza dei due gruppi coinvolti che dappirma provarono a negare qualunque responsabilita', poi a minimizzare contando sull'effetto tempo, ovvero sullo scorrere dei mesi e degli anni che finisce per far dimenticare ogni vicenda, anche le piu' gravi.
Del resto, per esempio, quasi nessuno ricorda che i piu' grandi scandali alimentari europei e piu' in generale mondiali hanno visto coinvolte alcuni tra i piu' noti nomi dell'industria alimentare e quasi mai piccoli produttori che sono i primi pero' a fare i conti con una legislazione che sembra fatta apposta per penalizzare i piccoli, dietro il paravento di misure burocratiche volte a tutelare solo nominalmente la salute, si pensi per tutti ai casi che hanno riguardato alcuni prodotti tipici alimentari italiani, e avvantagiare la produzione di alimenti su base industriale.
Con tutto quello che ne consegue.Lo scandalo, perche' tale fu, dell'ITX venne preso di petto da Fare Verde che non ha mai creduto troppo alla veste ecologista di cui si ammanta un'azienda come Tetrapak, forse la maggiore azienda al mondo interessata ad evitare il reintegro di qualsiasi forma di vuoto a rendere sui contenitori.
E che anche nella circostanza mostro' reticenze e posizioni degne dei peggiori standard comunicativi.
Sulla Nestle' non c'e' molto da dire se non che forse nella circostanza ha avuto meno responsabilita' che in altre ben piu' drammatiche circostanze.
La battaglia condotta da Fare Verde qualche risultato lo provoco', a partire dalle migliaia di firme raccolte perche' venisse introdotto l'obbligo perche' le confezioni di latte per bambini venissero vendute in altri materiali a minor impatto ambientale e maggiormente sicuri.
E se non altro segnalo' il problema ad una fascia di popolazione che sino ad allora aveva, ignara, riempito i propri frigo di ogni ben di Dio con confezioni rigorosamente in Tetrapak.
La decisione del giudice di Giarre non sappiamo se produrra' effetti a catene e soprattutto immaginiamo che possa venire ribaltata in altri gradi di giudizio - Fare Verde c'e' passata con la vicenda dei bastoncini cotonati anni fa, come forse qualcuno ricordera' - ma rimane un piccolo segnale di civilta' e di giustizia di cui, di fronte allo strapotere di certe lobbies c'e' tanto bisogno.
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